Luana Torchia

  1. L’uso degli ausiliari “essere” e “avere” in alcuni casi, cioè con i verbi intransitivi (tipici i verbi che indicano movimento, come decollare, per l’appunto) e con i cosiddetti verbi meteorologici (piovere, grandinare, nevicare, ecc.) è oscillante (la lingua non è un teorema matematico) e, nei casi dubbi, è consigliabile ricorrere a una buona grammatica o al vocabolario.

  2. Avere/essere in presenza di verbi servili + infinito. La questione dell’ausiliare richiesto da un verbo servile (potere, dovere, volere, sapere ‘essere in grado di, avere la capacità di’) è regolata dalla norma grammaticale. Secondo tale norma, l’ausiliare è quello proprio dell’infinito: «ho dovuto fare» perché si dice «ho fatto», «ho potuto rispondere» perché si dice «ho risposto» e via dicendo; viceversa, «non sono potuto venire/uscire/partire ecc.» perché si dice «non sono venuto/uscito/partito».

La norma prevede la possibilità di una deroga. Si può cioè usare l’ausiliare avere se il verbo retto è intransitivo: «ho dovuto venire/uscire/partire ecc.» è ammissibile quanto «sono dovuto venire/uscire/partire». Luca Serianni, nella sua preziosa Prima lezione di grammatica (Laterza, 2006), ci ricorda che Luciano Satta aveva già raccolto, in Matita rossa e blu (Bompiani, 1989), numerosi esempi tratti da valenti scrittori italiani (Maraini, Citati, Magris, Eco, La Capria) che documentavano l’uso dell’ausiliare avere (per il servile) con verbi intransitivi. Inoltre, se l’infinito è essere, l’ausiliare del verbo servile è avere («avrebbe potuto essere il migliore»). In caso di infinito passivo, l’ausiliare è quello proprio dei verbi transitivi, cioè avere («avrebbe dovuto essere lodato»).

L’uso di avere se il verbo retto è intransitivo si sta allargando. Serianni spiega questa linea di tendenza con ragioni di economia linguistica in via di affermazione: 1. l’uso di avere consente di eliminare la preoccupazione per l’accordo: «le ragazz_e_ sarebbero dovute partire» / «le ragazze avrebbero dovuto partire»; 2. il verbo servile, se usato da solo, vuole l’ausiliare avere e tende a imporre questa scelta anche quando regge un infinito: «hanno provato a uscire prima, ma non hanno potuto», da cui la propensione a dire «non hanno potuto uscire prima»; 3. l’ausiliare avere è già obbligatorio nel caso in cui con l’infinito si combini un pronome atono: «non ho potuto venirci»; se invece il pronome atono viene prima delle forme verbali, si ricade nella regola generale che impone essere: «non ci sono potuto venire».

  1. In realtà il participio non viene «accordato così liberamente». Ecco i cinque casi di accordo.
    a. Accordo del participio di un verbo composto con l’ausiliare avere, in presenza di complemento oggetto posposto. «Ho mangiato pietanze saporite» / «Ho mangiate pietanze saporite». Molto più frequente e dunque consigliabile la prima soluzione.
    b. Accordo del participio di un verbo composto con l’ausiliare avere, in presenza di oggetto anteposto, quando l’oggetto sia costituito da un pronome personale o relativo. «Vi ha salutato» / «Vi ha salutati»; «La macchina che ho venduto» / «La macchina che ho venduta».
    c. Accordo del participio di essere o di un verbo copulativo col soggetto, con il nome del predicato o con il complemento predicativo. «Lo stratagemma è stato, è risultato una banalità» / «Lo stratagemma è stata, è risultata una banalità».
    d. Accordo del participio di un verbo pronominale con il soggetto o con il complemento oggetto, anteposto o posposto. «La decisione che ci siamo imposti (o imposte, se il soggetto è di genere femminile)» / «La decisione che ci siamo imposta».
    e. In rapporto al genere, maschile o femminile, accordo della forma verbale composta con il pronome allocutivo lei o ella riferito a un uomo. «Lei (o ella), dottor Bianchi, è stato invitato formalmente alla riunione» / «Lei, dottor Bianchi, è stata invitata formalmente alla riunione».
    Chiarito il punto a, si dirà che nei casi b, c e d la lingua italiana ha sempre offerto la coesistenza delle due possibilità, le quali, dunque, vanno considerate entrambe legittime. Nel caso presentato al punto e, si osserverà che il riferimento al genere naturale è molto forte, quasi cogente, con gli aggettivi: impossibile pensare a una soluzione del tipo «Lei, dottor Bianchi, non è attenta». In una comunicazione scritta caratterizzata da un alto tasso di formalità, può essere ammissibile o, perfino, opportuno ricorrere all’accordo al femminile, in presenza di forma verbale composta; in questo caso, però, il registro formale dovrebbe essere confermato da altri segnali, quali l’uso dell’allocutivo ella in luogo di lei e l’adozione delle maiuscole reverenziali, sia in principio sia all’interno di parola (Ella avrà la pazienza di rispondere; in attesa di un Suo gentile riscontro; nel ricordarLe gli impegni assunti).

  2. Ho mangiato una mela/Mi sono mangiato una mela. In realtà, qui è in gioco l’uso dei pronomi personali atoni con funzione affettivo-intensiva, quando cioè si vuole porre in evidenza la partecipazione personale, spesso emotivamente marcata, del soggetto all’azione. In questi casi altre lingue, specialmente le antiche (il greco, per esempio) avrebbero fatto ricorso alla diatesi media del verbo, che l’italiano invece non possiede: ecco perché ricorre a tale uso marcato dei pronomi personali atoni (uso che mette nei guai molti studenti, quando si tratta di distinguere tra riflessivi, riflessivi apparenti e, appunto, usi transitivi con pronomi affettivi). Quest’uso è molto esteso nel Centro e nel Meridione d’Italia («mi faccio una bella passeggiata», «ci siamo fumati tranquillamente una sigaretta», ecc.), ma si sta diffondendo e viene accettato anche nel resto del Paese. In ogni caso, da sempre gli italiani di tutte le latitudini fanno ricorso al pronome intensivo-affettivo quando si tratta di riferirsi al corpo del soggetto: «non ti mordere le unghie», «si gratta sempre la testa», «soffiate_vi_ il naso». L’uso del pronome atono con funzione intensivo-affettiva si estende anche ad attività inerenti l’organismo umano («asciugar_si_ il sudore») e ai nomi di vestiario («metti_ti_ la sciarpa», «entrati, si tolsero il cappello»).