Francesco Masi

Riguardo l'origine dell'espressione povero in canna 'poverissimo' sono state formulate diverse ipotesi. Per alcuni l'immagine rimanda ai miserabili che, in tempi antichi e premoderni, si aggiravano per le vie mendicando e si sostenevano appoggiandosi a una canna. Giuseppe Manuzzi, nel suo Vocabolario del 1833 (che rivedeva le bucce alla Crusca, rieditandone l'opera) pensava viceversa ad un'identificazione analogica tra la povertà della persona e la povertà della canna, vuota di materia.
Altri si sono rivolti al dettato biblico, in particolare alla descrizione che Matteo (27, 27-29) dà di Cristo: «Quindi i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e convocarono intorno a lui tutta la coorte. Toltegli le vesti, gli gettarono addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, la posero sulla sua testa con una canna nella destra». A partire dalla rappresentazione di Cristo denudato e vilipeso, la canna sarebbe stata associata alla povertà assoluta. Di certo, in numerosi significati figurati canna ha relazione con i campi semantici di fragilità, esilità, debolezza, inconsistenza, arrendevolezza.
La prima attestazione nota nell'italiano scritto di povero in canna ci riporta alla più salda tradizione novellistica trecentesca, con Franco Sacchetti: «Tutti quelli che vanno tralunando ['osservando gli astri, strologando'], stanno la notte su' tetti come le gatte, hanno tanto gli occhi al cielo che perdono la terra, essendo sempre poveri in canna».