Luca Ghirardi

Domanda interessante, perché mette in gioco il concetto di “esistenza” di un lessema in una lingua. Quando una parola esiste in una lingua? E se esiste soltanto per un certo periodo di tempo e poi scompare – magari perché esce dall’uso l’oggetto, l’istituto, l’attività designati dal vocabolo stesso –? E se esiste, cioè viene usata ma non certificata, soltanto nella lingua parlata? O nella lingua adoperata in una determinata regione (per esempio, tampa ‘buca’ e, per estensione, ‘osteriola piccola e senza pretese’ nell’italiano regionale del Piemonte)?

Il caso di furtare è interessante: nei dizionari della lingua italiana dell’uso il verbo non è lemmatizzato; nei dizionari di neologismi nemmeno; nella lingua scritta su carta stampata degli ultimi anni non se ne hanno attestazioni. Qualcosina si trova in rete, ed è qualcosa di interessante: furtare ‘rubare’ (evidente denominale dal sostantivo furto) è usato soprattutto in blog e forum dagli “smanettoni” del computer e della rete e i furti cui ci si riferisce sono riproduzioni abusive di programmi (specialmente videogiochi, ma non solo). Quindi, si potrebbe dire che furtare, attualmente, è una parola che esiste nel gergo di chi, forse tra i più giovani, ha dimestichezza con internet e computer.

Però furtareesiste anche nel senso che è già esistito: in un certo periodo della storia della nostra lingua scritta, in testi due e trecenteschi. Ecco Ugieri Apugliese: «So’ leale e so furtare, / spender saccio e guadagnare». Non manca il Boccaccio: «Io perdon più fiate acquistai, / non per mio operar, ma per colui / pietà a cui la figlia già furtai».

Quel che è certo è che furtare non esiste (ancora?) come parola della lingua standard e comune.

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