Con biomimesi si designa la disciplina, di recente formalizzazione, che studia e imita le caratteristiche degli esseri viventi come modello cui ispirarsi per il miglioramento di attività e tecnologie umane. Si cita il caso della produzione di impermeabili, di vernici speciali impiegate nell’edilizia, di nuovi materiali adesivi, influenzata dall’osservazione e dall’analisi delle caratteristiche delle ali delle farfalle, di determinate sostanze presenti nelle foglie di alcune piante, delle membrane adesive dei gechi. In qualche modo, uno dei più illustri antenati moderni della biomimesi è considerabile Leonardo da Vinci.

La voce biomimesi stenta ancora a entrare nei dizionari della lingua italiana. È ben possibile che ciò succeda a breve, vista la crescente diffusione della disciplina, ampiamente documentata dalle occorrenze reperite in rete. Il GDU di Tullio De Mauro registra l’aggettivo biomimetico come vocabolo settoriale, nell’accezione ‘che può simulare fenomeni presenti in processi biologici’, riferito a un processo chimico (la parola è attestata nell’italiano scritto dal 1990).

Non si può parlare, per biomimesi, di una parola d’uso comune, proprio perché l’ambito in cui viene utilizzata è tecnico-scientifico, specifico e settoriale, anche se le ricadute nella vita pratica della disciplina designata dal termine biomimesi favoriranno di certo una conoscenza più diffusa di entrambi.

L’etimologia è trasparente: da una parte il prefisso bio-, in uno dei suoi quattro principali significati, vale a dire quello più antico di ‘relativo alla vita, agli organismi viventi’ (dal greco bíos ‘vita’); dall’altro mimesi ‘imitazione’, che ci viene dal greco attraverso il latino. Poiché in italiano sono lecite sia la pronuncia piana (mimèsi), autorizzata dal latino, sia la pronuncia sdrucciola (mìmesi), alla greca, sarà possibile pronunciare sia biomimèsi, sia biomìmesi.