Andrea Felici

«Parole apte e convenienti». La lingua della diplomazia fiorentina di metà Quattrocento

Firenze, Accademia della Crusca, 2018

Le parole orientano e determinano i fatti, e forse in nessun ambito quanto in quello della comunicazione politica ciò è tanto evidente: esse possono consolidare alleanze, spingere al conflitto o innescare rivoluzioni. Le “strategie verbali” di un governo, da sempre parte integrante delle strategie di potere, si fondano sulla capacità di quest’ultimo e del suo entourage di costruire un discorso selezionando il lessico più opportuno e più efficace a seconda delle circostanze: in altri termini, sull’abilità di ricorrere a «parole apte e convenienti».

Intorno alla metà del Quattrocento, il panorama istituzionale italiano è un mosaico di Stati organizzato nelle più diverse forme di governo – principati, signorie, repubbliche –, tra loro accomunate dal bisogno di definire il proprio spazio e di garantirne la stabilità. In questa delicata rete di relazioni, Firenze svolge un ruolo indubbiamente centrale grazie a un articolato sistema di accordi di natura politica e commerciale, merito, in larga parte, della fervida attività diplomatica quotidianamente svolta dalla sua cancelleria. Le missive degli uffici fiorentini – che spesso si affidano alla penna di intellettuali di massimo spicco nel panorama letterario (da Poggio Bracciolini a Niccolò Machiavelli, e prima ancora da Cino da Pistoia, a Brunetto Latini, a Dante) – offrono una testimonianza di straordinario interesse non solo sotto il rispetto storico, ma anche sotto quello linguistico: il lavoro di Andrea Felici ricostruisce attentamente le strategie e le tecniche argomentative di tali scritture prendendo in esame il materiale documentario oggi conservato nella serie Legazioni e commissarie del fondo Signori dell’Archivio di Stato di Firenze. L’attenzione dello studioso si concentra sulla corrispondenza tra la cancelleria e i suoi ambasciatori del biennio 1454-1455, un periodo segnatamente delicato e denso di avvenimenti politici: i testi esaminati raccontano infatti la serie di «trattative problematiche, difficili sgarbi e riappacificazioni, accordi presi e disattesi, da cui scaturirà l’effimera pax quattrocentesca sancita dall’accordo di Lodi e dalla Lega italica» (p. 9).

L’analisi condotta sul corpus selezionato è scomposta in più sezioni che sviluppano in modo sistematico singoli aspetti della lingua: la prima sezione (pp. 23-53) è dedicata al riconoscimento dei tratti fono-morfologici tipici del cosiddetto “fiorentino argenteo”, nonché dei numerosi apporti dal latino – che resta pur sempre il modello linguistico di riferimento per le scriptae cancelleresche di tutta la penisola –, particolarmente evidenti sui piani del lessico e della sintassi. La stessa sezione registra anche un interessante repertorio di locuzioni e modi di dire (cavare le mani, mettere in punto ecc.) riconducibili all’uso vivo del tempo: gli alti livelli di formalizzazione richiesti a tali scritture non impediscono, infatti, l’infiltrazione di «tracce di parlato» – questo il titolo del paragrafo – utili a dare maggiore incisività all’intero discorso. La seconda sezione dell’analisi testuale (pp. 55-69) è tutta impegnata a far luce sulle complesse strategie discorsive impiegate dai cancellieri fiorentini. Si tratta, come nota l’Autore, di tecniche argomentative ben riconoscibili anche nella scrittura machiavelliana: l’ampio ricorso al «vocabolario della necessità» (bisognerebbe, è necessario che si faccia ecc.), la razionalizzazione dei contenuti attraverso una catena di proposizioni dichiarative, completive e concessive, il ricorso a connettivi conclusivi (adunque, et pertanto ecc.). Comune alle tecniche discorsive del Machiavelli è poi il cosiddetto procedimento ipotetico-dilemmatico che le lettere analizzate sfruttano regolarmente in situazioni d’incertezza, ossia in casi in cui il comportamento dell’ambasciatore deve adattarsi velocemente al corso degli eventi e alle possibili reazioni della controparte. L’Autore scompone tali procedimenti discorsivi riconducendoli a degli schemi– potremmo dire dei “diagrammi di flusso” – molto articolati, che tuttavia consentono di scoprirne i meccanismi e gli elementi ricorrenti.

Il nucleo centrale dello studio di Andrea Felici è indubbiamente rappresentato dalla terza sezione (pp. 71-197), dedicata alla terminologia politico-diplomatica documentata nel corpus. Il Glossariocancelleresco raccoglie oltre settanta tecnicismi legati al diritto e all’amministrazione dello Stato e delle sue relazioni, come accomandigia ‘atto di chi affida sé o i suoi beni a una podestà superiore’, intelligenza ‘patto segreto’ ecc. Talora il lemmario si apre anche a termini propri di altri ambiti (come quello commerciale o militare) che tuttavia rientrano «a pieno titolo nel comune vocabolario delle relazioni istituzionali» (p. 74). Ciascuna scheda lessicale offre un quadro dettagliato d’informazioni sull’uso del termine all’interno del corpus, dal numero di occorrenze alle varianti formali documentate, fino ai diversi valori semantici; se presenti, sono messi in rilievo anche gli usi in locuzioni o in espressioni fraseologiche (avere/dare in commissione; fare commissione; di suo consiglio; di consiglio di; in effetto; con effetto ecc.), nonché il ricorso in dittologie (ragioni et cagioni, parole et ragioni ecc.). La scheda accoglie poi un commento che dà indicazioni sull’etimo della parola e ne ricostruisce l’impiego in diacronia, mettendo a frutto il controllo sistematico di strumenti lessicografici, banche dati informatizzate e studi specifici. Non meno interessante appare la sezione Corrispondenze che chiude la scheda e che dà conto degli eventuali riscontri del termine rintracciati in un corpus di testi tipologicamente e cronologicamente affini a quelli in esame.

Chiude il lavoro un’Appendice (pp. 199-225) contenente un campione di dieci lettere tratte dal corpus di riferimento e trascritte secondo i criteri stabiliti da Arrigo Castellani – impiegati, del resto, anche per le citazioni riportate nelle sezioni precedenti – e dunque con il massimo rispetto delle caratteristiche del manoscritto, a partire da quelle grafiche.

Tra gli apparati, è senz’altro utile l’Indice dei lemmi del Glossario, che offre una sintesi dei tecnicismi registrati e delle varianti formali rilevate; certamente la scelta di porre a lemma la forma corrispondente all’italiano standard favorisce non poco la consultazione del repertorio lessicale e la reperibilità dei termini in esso raccolti.

Barbara Fanini

Università degli Studi di Firenze