Sabina Gola (a cura di)

L’italiano che parliamo e scriviamo

Firenze, Franco Cesati editore, 2019

Quale lingua parliamo e come percepiamo la nostra lingua? Sono molti e molto interessanti gli spunti di riflessione dei dieci studiosi della lingua italiana che, con i saggi raccolti nel libro L’italiano che parliamo e scriviamo, si soffermano ad analizzare da più punti di vista la rappresentazione e la percezione collettiva dell’italiano. Come sottolinea Giuseppe Antonelli nell’Introduzione, «l’opinione pubblica fatica ad accettare il fatto che la lingua segue la storia e, come un notaio, la verbalizza: quando capita qualcosa di nuovo, la lingua ne prende atto».

È inutile negare che, così come il mondo nel quale viviamo, anche l’uso dell’italiano si modifica e non necessariamente verso il basso. Nonostante il catastrofismo al quale molti non riescono a sottrarsi, Antonelli ci rassicura ricordando che «oggi, a dispetto dei tanti giudizi apocalittici, l’italiano gode di una salute migliore del passato. Non solo perché è finalmente usato da (quasi) tutti gli italiani in (quasi) tutte le situazioni comunicative. Ma anche perché l’attenzione alla lingua e alla sua correttezza si è fatta sempre più spiccata, rafforzando quella “salutare sensibilità – o ipersensibilità – nei confronti della lingua nazionale” che Luca Serianni riconduce alla lealtà linguistica».

Rita Fresu si sofferma sulla relazione tra lingua e genere. Nel capitolo Il linguaggio femminile e maschile nell’italiano contemporaneo: orientamenti e linee di tendenza, la studiosa interpreta e analizza le più recenti indagini sociolinguistiche evidenziando «da un lato, una progressiva attenuazione della percezione di una differenza tra i comportamenti linguistici dei due generi, almeno nell’immaginario dei parlanti; dall’altro – e ciò pare l’elemento di maggior rilievo – un graduale abbandono della visione della lingua maschile come varietà neutra».

Stefano Nobile, con L’italiano della canzone: una prospettiva sociolinguistica, tra caratteristiche e trasformazione della canzone italiana, si sofferma «non solo sulle differenze tra i diversi decenni, ma anche su aspetti generali o, al contrario, su peculiarità riferibili ai singoli generi o a determinati artisti, avendo come riferimento soprattutto il lessico utilizzato». Purtroppo, in questo àmbito, le conclusioni non sempre sono confortanti: «Qualcosa sul piano lessicale, […] è andato perso negli anni. Sono arrivate iniezioni di parole straniere, dialettali e turpiloquio “a gogo”. Ma al di là del vocabolario, è la dimensione poetica ad aver ceduto il passo a un lirismo banalizzato, nel quale è atrofizzata buona parte della ricerca metrica e compositiva».

Di punteggiatura si occupano i due capitoli seguenti.

«Le specificità interpuntive che oppongono la lingua mediata dalla rete alla scrittura (neo)standard, a partire dall’angolatura offerta da due segni di punteggiatura funzionalmente diversi: la virgola enunciativa – segno segmentante – e i puntini di sospensione – segno interattivo» sono alla base dello studio proposto da Angela Ferrari e Filippo Pecorari nel capitolo La punteggiatura italiana contemporanea tra (neo)standard e lingua mediata dalla rete. Il caso della virgola e dei puntini di sospensione.

Uno sguardo d’insieme (declinato anche attraverso numerosi esempi) sull’uso della punteggiatura nelle tavole disegnate ci offre il saggio Quando i punti esclamativi diventano suoni: la punteggiatura nel fumetto di Luca Raffaelli, che definisce la narrazione a fumetti «un’emozione (qualcosa di simile a un sogno, o a un ricordo) che, seguendo la punteggiatura del disegno e del testo, si forma nella nostra mente».

I computer non sono più semplicemente strumenti di comunicazione tra esseri umani, ma stanno diventando essi stessi interlocutori autonomi. Mirko Tavosanis (Dai computer come strumenti di comunicazione ai computer che parlano e scrivono) «esamina queste novità in prospettiva linguistica, prendendo in esame soprattutto il caso degli assistenti virtuali e degli altoparlanti intelligenti, e in particolare delle loro possibili applicazioni alla didattica e alla pratica delle lingue».

Della lingua del cinema si occupa invece Fabio Rossi con Le lingue dello schermo negli anni Duemila: tra reductio ad unum e plurilinguismo, notando che il cinema e la fiction oscillano tra «italiano standard d’impronta, più che scolastico-letteraria, doppiaggese e rappresentazione delle varietà», nonostante «il baricentro sembri sempre più spostato verso il secondo polo, che è quello cui preferiscono tendere i registi migliori, con i prodotti filmici e televisivi più interessanti (meno banali, con uno sguardo critico sulla realtà) dell’ultimo quindicennio». Thea Rimini si concentra specificamente sull’analisi dell’Italiano de La grande bellezza (il corpus è costituito dai dialoghi della sceneggiatura del film di Paolo Sorrentino pubblicata nel 2013), rilevando che «Artisti, intellettuali, nobili, clero, domestici: ognuno ne La grande bellezza ha una sua lingua. I personaggi non sono monadi e, in accordo all’epoca intermediale in cui vivono, prediligono il pastiche, la contaminazione linguistica. Sorrentino allora riserva una cura millimetrica non solo all’impaginazione visiva delle inquadrature, ma anche alla caratterizzazione linguistica dei personaggi».

Last but not least, gli ultimi due saggi di Vera Gheno e della curatrice del volume, Sabina Gola, sono entrambi dedicati alla lingua nella rete.

Vera Gheno, con il contributo Paese Reale 2.0: whateverismo linguistico e maestrine dalla penna rossa nell’Italia dei social network, si confronta con il pressappochismo delle «false competenze» e l’arroganza variamente declinata, auspicando sempre la «quieta assertività» e la «possibilità di una disputa felice». Gli esempi riportati, proposti con gustosa ironia, sono sempre fonte di interessantissime osservazioni. Richiamando la notissima «invasione degli imbecilli» di Umberto Eco, la Gheno invita però a ribaltare la prospettiva e ad utilizzare la rete per «sfruttare a nostro vantaggio l’aumentata consapevolezza dei punti di crisi della nostra lingua per cercare di fare qualcosa di costruttivo. Anche attraverso i social network – troppo spesso considerati un semplice passatempo – si può fare cultura linguistica».

Sabina Gola con Il gruppo Facebook ‘La lingua batte-Radio3’: i linguabattenti e il sentimento della norma linguistica si concentra su un campione rappresentativo (32.795 utenti al 27 luglio 2018) di italiani colti (o stranieri con un’ottima padronanza dell’italiano) che si confrontano sui temi della lingua. Un gruppo ormai quasi completamente autonomo rispetto alla trasmissione di Radio 3 La lingua batte, che condivide, prima di ogni altra cosa, un grande attaccamento alla lingua italiana. Quattro mesi di post, letti e classificati dalla studiosa, per «analizzare la percezione della norma, la consapevolezza dei mutamenti in atto della lingua e la loro accettazione da parte degli appartenenti al gruppo». Ne emerge anche una speciale catalogazione dei membri del gruppo (con tanto di stralci in appoggio a queste definizioni), che, più in generale, potrebbe essere utile a definire l’atteggiamento di molti italiani rispetto alla propria lingua, non solo quello dei linguabattenti. Si tratta dei «San Tommaso, i delusi, i prudenti, gli avversari tenaci del linguaggio burocratico, i cacciatori di ipercorrettismi, gli esasperati, gli affezionati alla maestra, gli intolleranti, i maestri, i resistenti, i fiduciosi nell’uso, i radicali, i ragionevoli e gli accomodanti nei confronti degli anglicismi».