Claudio Lagomarsini
Il Graal e i cavalieri della Tavola Rotonda. Guida ai romanzi francesi in prosa del Duecento
Bologna, Il Mulino, 2020
Celebrato editore critico del volgarizzamento senese trecentesco dell’Eneide firmato da Ciampolo di Meo Ugurgieri (Pisa, Edizioni della Normale, 2018; link), Claudio Lagomarsini si ripropone al pubblico dei lettori con un’impresa di alta divulgazione: la prima organica trattazione italiana sul più antico «esperimento di prosa d’immaginazione elaborato in una lingua europea», ossia il ciclo — «più celebre che conosciuto»: parola di Ferdinand Lot (1918) — del Lancillotto-Graal, noto anche come Vulgata o Pseudo-Walter Map, composto da cinque romanzi primoduecenteschi in prosa francese coprenti l’intero sviluppo della vicenda arturiana e punto di convergenza di due filoni narrativi in versi: la storia del Graal, le avventure di Lancillotto; precisamente: Storia del Santo Graal (Estoire del Saint Graal); Merlino (Merlin) e Séguito del Merlino (Suite Merlin); Lancillotto (Lancelot); Ricerca del Santo Graal (Queste del Saint Graal); Morte di re Artù (Mort le roi Artu).
Il primo capitolo è dedicato alla codificazione del mito arturiano, dalla prima menzione del re contenuta nell’Historia Brittonum, cronaca latina storiograficamente inattendibile composta in Galles nel IX secolo e ispiratrice degli Annales Cambriae (950 ca.), alla Legenda Sancti Goeznovii (XI secolo), in cui si magnificano le battaglie di Artù contro i Sassoni, richiamati in Gran Bretagna dall’usurpatore Vortegirn, il Vertiger dei romanzi francesi. Ma il mito trova già compiuta codificazione pochi anni avanti l’apparizione dei romanzi arturiani nella prosa latina Historia regum Britanniae di Geoffrey di Monmouth (1136-1138).
Nel secondo capitolo l’Autore si concentra su un altro aspetto del «retroterra del ciclo»: l’elaborazione di racconti aventi per oggetto Lancillotto e il Graal. Il cavaliere appare per la prima volta in Lancelot o Roman de la charrete, narrazione in versi di Chrétien de Troyes, poeta francese di grandissima fama non solo in patria, attivo nella seconda metà del XII secolo. Negli stessi anni, tra il 1194 e il 1204, il chierico Ulrich von Zatzikhoven scrive il Lanzelet, versione-aemulatio rimata in tedesco antico d’un poema anonimo anglo-normanno. Quanto alla prima attestazione di Graal, essa compare in un’opera incompiuta dello stesso Chrétien, il Roman de Perceval ou le conte du Graal, ma non è ancora la «reliquia del nostro immaginario», bensì nient’altro che una fiamminga, ancorché tempestata di gemme (< lat. medievale gradalis ‘vassoio per servire diversi tipi di pietanze’, tra cui il pesce).
Nei capitoli III-VI si descrivono struttura e composizione del ciclo (per la cui tradizione, straordinariamente “attiva” — scarso rispetto dell’antigrafo da parte dei copisti, che si fanno coautori —, non si dispone ancora d’un persuasivo assetto stemmatico dei manoscritti), oltre a passare in rassegna le principali questioni filologiche e le tesi dei maggiori studiosi, tra cui quella di Lot, secondo la quale i cinque romanzi (fuorché Merlino, importato dal Piccolo ciclo di Robert de Boron) sarebbero opera d’un’unica mano:
Sarebbe impossibile, infatti, spiegare diversamente la coerenza dell’intreccio narrativo e della cronologia interna: tutti i romanzi sono composti integrando entro una trama molto complessa centinaia di linee narrative, con richiami e riprese anche a lunghissima distanza. Secondo Lot è impensabile che autori distinti abbiano potuto gestire in modo armonico una struttura tanto complicata. Sono presenti, inoltre, dettagli di cronologia interna (ad esempio il giorno e l’anno dell’investitura di Lancillotto) che si possono verificare incrociando dettagli e riferimenti a distanza di centinaia di pagine: sarebbe la conferma che l’autore — un unico autore, quindi — lavorava a partire da uno schema dettagliato degli episodi e della loro successione nel tempo della storia. (pp. 34-35)
Di diverso avviso Jean Frappier: il ciclo non si deve a un unico autore ma a una squadra d’autori diretti da un «architetto». Più recentemente, Carol Chase ha limitato la teoria del sovrintendente-coordinatore, ipotizzando una composizione collaborativa e contemporanea di alcune parti del ciclo:
In una prima fase, cioè, sarebbe stata composta la prima parte del Lancillotto_; poi, mentre il_ Lancillotto veniva sviluppato in forma ciclica, sarebbero stati scritti in contemporanea altri blocchi del ciclo, sviluppati da autori distinti ma sulla base di un piano comune. Questo spiegherebbe sia l’unità strutturale dell’insieme sia l’esistenza di alcune contraddizioni, difficili da giustificare pensando a un autore che scrive tenendo sotto gli occhi il testo già composto da un altro; più ragionevoli, invece, se si pensa a un lavoro collaborativo e a una scrittura che subisce modifiche in corso d’opera. (p. 37)
Il settimo capitolo è dedicato alla fortuna del ciclo e alla sua influenza culturale dal tardo Medioevo alla modernità, incluse le riscritture cinematografiche, come il Lancelot du lac di Robert Bresson (1974) e la commedia parodica Monty Python and the Holy Grail (1975):
Senza il Lancillotto-Graal_, il_ Tristano e il Guiron non sarebbero di certo esistiti. I Visconti e gli Este avrebbero letto altro, e Ariosto non si sarebbe certo dato la pena di comporre un enorme romanzo di cavalleria, come neppure Thomas Malory. Semplicemente, molti dei libri fantasy, dei film, degli anime e delle serie tv che ancora ci appassionano e intrattengono non sarebbero mai esistiti. Il nostro immaginario ne uscirebbe decisamente mutilato. (p. 75)
Nella seconda parte — a beneficio degli studenti e degli amanti della materia, non meno che degli specialisti, data l’immane, intricatissima selva di narrazioni in cui è facile smarrirsi — i romanzi vengono dettagliatamente riassunti.
Completa il volume un’ampia bibliografia ragionata (edizioni di manoscritti ciclici; edizioni di singoli romanzi; studî sulla leggenda di Artù e del Graal; dizionarî ed enciclopedie; siti internet di materia arturiana).