Andrea Marcolongo
La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco

Laterza, 2016

Per l’anno scolastico 2017-2018, secondo i dati del Ministero dell’istruzione,le studentesse e gli studenti italiani della scuola media (o i loro genitori) preferiscono nettamente gli indirizzi liceali (scelti dal 54,6% delle ragazze e dei ragazzi). Degli altri, il 30,3% ha optato per un istituto tecnico, mentre il 15,1% delle nuove iscritte e dei nuovi iscritti ha scelto un istituto professionale.

Il liceo scientifico (fra indirizzo “tradizionale”, opzione scienze applicate e sezione sportiva) resta in testa alle preferenze: è scelto dal 25,1% delle studentesse e degli studenti (erano il 24,5% lo scorso anno). Tuttavia, il dato interessante è che, di questa grande torta che riguarda il futuro dei nostri ragazzi, una fetta leggermente maggiore rispetto all’anno scorso spetta al liceo classico: il 6,6% a fronte del 6,1% del 2016. Sembrerebbe una scelta in controtendenza, ma a detta di molti il liceo classico e lo studio del latino e del greco contribuirebbero, tra le altre cose, a modellare una forma mentis che aiuterebbe l’individuo ad affrontare meglio e con maggiori strumenti molti indirizzi di studio universitari, se non tutti.

Così, forse, non c’è nemmeno da stupirsi che La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco della grecista Andrea Marcolongo abbia raggiunto la quattordicesima edizione in pochissimo tempo e sarà tradotto in francese, olandese, spagnolo, tedesco e greco moderno.

Del resto non si tratta di un libro per specialisti, di un manuale per studenti o di un testo per appassionati eruditi, perché «questo libro, prima di tutto, parla di amore: verso una lingua, ma soprattutto verso gli esseri umani che la parlano – o, se nessuno la parla più, verso coloro che la studiano perché costretti o irrimediabilmente attratti» (p. X).«È un resoconto letterario (e non letterale) di alcune particolarità di una lingua magnifica ed elegante come il greco antico – quel suo modo di esprimere in modo fulmineo, sintetico, ironico, aperto di cui – siamo sinceri – proviamo un’inconsapevole nostalgia» (p. XIII).

Nell’introduzione, prima di enucleare le nove ragioni per amare o amare nuovamente il greco, a seconda che lo si abbia studiato o meno, l’autrice avverte: «Non importa che abbiate frequentato il liceo classico. Se no, meglio. Se sarò stata in grado di guidarvi nel labirinto del greco con la mia fantasia, arriverete alla fine del cammino con nuovi modi per pensare il mondo e la vostra vita, in qualunque lingua la esprimiate a parole. Se sì ancora meglio» (p. X).

Siamo di fronte a un ambizioso tentativo di avvicinare o avvicinare di nuovo il greco a chi lo ha conosciuto e odiato o a chi non ha provato nemmeno a conoscerlo perché sapeva che lo avrebbe odiato. La responsabilità (e la Marcolongo non fa sconti) è di un sistema scolastico non propriamente friendly («uno dei più retrogradi e ottusi del mondo») e di come è strutturato il liceo classico. Poi, nonostante tutto e tutti, ci sono insegnanti che riescono a cantare fuori dal coro, capaci di far accendere la scintilla e di fare breccia nel cuore dei discenti, ma questo è un altro discorso.

Il saggio è strutturato in capitoli che affrontano alcune questioni fondamentali della lingua greca. Come per esempio, il tempo. Nemico e amico, tiranno della società dei consumi della modernità liquida, frammentato come in un quadro puntinista «né ciclico né lineare, come normalmente era nelle altre società della storia moderna o premoderna», a detta del sociologo polacco recentemente scomparso Zygmunt Bauman.

Per i Greci il tempo non era una categoria fondamentale. Difficile ma non impossibile farlo capire: «Il greco antico al tempo badava poco, o punto. I Greci si esprimevano in un modo che considerava l’effetto delle azioni sui parlanti. Loro, liberi, si chiedevano sempre come. Noi, prigionieri, ci chiediamo sempre quando [...]. Non il tempo ma l’aspetto. L’aspetto è una categoria della lingua greca antica che si riferisce alla qualità dell’azione, senza collocarla nel passato nel presente nel futuro» (p. 3). Suggestivo il titoletto del paragrafo in cui si fa chiarezza sul duale: «Io, noi due, noi. Il duale», così come poetico e vitale lo sforzo per spiegare questa categoria grammaticale.

Si parte sempre dalla lingua come sistema espressivo di un popolo che pensa, perché «vengono prima gli uomini, poi le lingue [...]. Per questo ogni lingua è unica ed eccezionale: perché unico ed eccezionale il popolo che la parla per dire se stesso» (Andrea Marcolongo, «Corriere della Sera», 9 marzo 2017) .

Poi, via via, con esempi particolareggiati e spiegazioni sempre più verticali, si approfondiscono aspetti che, talvolta, da grammaticali diventano filosofici. Ne è un esempio la concisa descrizione del neutro: «Le cose della vita erano classificate grammaticalmente tra quelle con o_senz’anima_».

Argomenti complessi, grande passione e competenza per spiegarli, e riferimenti dell’io narrante ai patimenti di quella che fu una studentessa liceale: un efficace richiamo costante al passato per sdrammatizzarlo, per dimostrare che la bellezza e l’amore di e per qualcosa possono illuminare le tenebre di un metodo che allontana dalla grecità e, talvolta,  ne fa perdere i legami con il presente. Come se si trattasse di una materia di studio e basta, di una disciplina avulsa dalla realtà.

E il libro è intriso di questo slancio appassionato verso la lingua geniale. Pur trattandosi di una lettura complessa e impegnativa, nonostante la forma piacevole, spiritosa, piena di notazioni colorate e amorevoli, si procede con soddisfazione. Anche grazie ai box, ricchissimi approfondimenti che spaziano dai tabù linguistici a una breve rassegna dei dizionari di greco, dalle etimologie delle parole alla visione dei colori degli antichi Greci, al vino e al suo significato.

Una sfida, dunque, un saggio che lascia aperte molte questioni e che, senza pretese di essere esaustivo, ci ricorda ancora una volta che «in quest’epoca in cui si è perennemente connessi a qualcosa, mai a qualcuno, in cui abbiamo a disposizione migliaia di canali per comunicare, spesso ci si dimentica che cosa si comunica e come. E questa lingua [il greco antico, ndr] permette di fermarsi a pensare a quello che si dice; consente di dire cose in più, anche grazie alle nove particolarità che ho descritto nel libro e che l’italiano non ha». (Intervista ad Andrea Marcolongo di Antonella De Gregorio, «Corriere della Sera» 19 novembre 2016)

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