di Arnaldo Soldani*

Le forme metriche sono istituti storici, e come tali vanno valutate in rapporto alla tradizione in cui si inseriscono e alle funzioni che assumono di volta in volta nel sistema letterario. Non avrebbe senso, dunque, considerarle in un’ottica di progressivo avvicinamento a un’astratta forma ideale. Eppure non c’è dubbio che proprio la loro considerazione storica porti spesso a identificare dei momenti o degli autori in cui un certo metro assume una configurazione che, da un lato, sembra dare un assetto compiuto e definitivo alle spinte della tradizione precedente, e dall’altro viene recepita dalla letteratura successiva come il modello di riferimento, come lo standard da seguire o da cui differenziarsi. Così succede con l’ottava dell’Orlando Furioso, che fin dalla prima edizione del 1516, quella di cui quest’anno si celebrano i cinque secoli, si è imposta agli occhi dei lettori e degli imitatori come l’ottava nella sua forma “classica” o “aurea”, in grado di sviluppare al meglio le potenzialità immanenti nel metro (cfr. Limentani 1961 e l’edizione Matarrese-Praloran 2016).

Dai cantari popolari ai poemi cavallereschi

Naturalmente, quando parliamo di sviluppo del metro non alludiamo al suo schema oggettivo, che nel caso dell’ottava rima risulta fissato fin dagli albori delle sue vicende, a metà Trecento: otto endecasillabi con rime ABABABCC. Intendiamo invece la sua forma interna, che vuol dire essenzialmente la struttura sintattica e discorsiva che si distende dentro quello schema e che può variare in modo molto marcato (cfr. Pozzi 1974). Ebbene: prima di Ariosto distinguiamo due tradizioni. Prima quella dei cantari popolari che, fra Tre e Quattrocento, presentano un’ottava dal disegno elementare, in cui la sintassi segue senza scarti le linee di svolgimento suggerite dal metro: una frase per verso, talvolta raggruppando i versi per distici secondo lo schema delle rime (AB-AB-AB-CC; cfr. Balduino1982, Soldani 2015). Poi, la tradizione dei poemi cavallereschi nati nelle corti del secondo Quattrocento: a Firenze il Morgante di Pulci e, soprattutto, a Ferrara l’Inamoramento de Orlando di Boiardo, che costituirà l’antecedente immediato del Furioso anche dal punto di vista delle vicende narrate. E nell’Inamoramento l’ottava viene trattata, sperimentalmente, come uno spazio aperto, in cui la linea discorsiva non è più determinata dalla struttura metrica soggiacente, ma serpeggia al suo interno sulla base delle esigenze di volta in volta imposte dalla narrazione, dando luogo molto spesso a segmentazioni “dispari” (3+3+2, 3+2+3, ecc.) che mettono in discussione l’architettura convenzionale e spiazzano l’orizzonte di attesa del lettore (Praloran 1988).

Petrarca e la sintassi del periodo complesso

Ariosto prende le mosse da qui, e nella sua proposta fonde (e mette in tensione) le istanze che stavano alla base delle due tradizioni: da un lato l’attenzione alla struttura immanente, istituzionale, del metro; dall’altra la spinta espressiva di una potente voce autoriale. La sintesi è prodotta mediante una saldissima concezione architettonica della forma, che Ariosto ricava per gran parte dall’osservazione della poesia di Petrarca: dunque da un genere, la lirica, sì diverso da quello narrativo praticato nel Furioso, e tuttavia capace di mostrare soluzioni perfettamente adattabili ad esso. In breve, lo strumento tecnicamente risolutivo diventa la sintassi del periodo complesso, in cui i singoli membri (le frasi principali, subordinate, coordinate, i grandi sintagmi) si distendono sui singoli moduli metrici (i distici o i loro multipli), mantendendo il rispetto delle misure “pari” tipiche dell’ottava e insieme garantendo una forte unità narrativa tra le parti, mediante i legami ipotattici che attraversano la stanza. Un esempio per chiarire, l’ottava 63 del canto XXIII, dove un unico periodo, articolato nei quattro distici, tiene insieme le azioni e i punti di vista di tre personaggi (Orlando, Zerbino, Isabella):

Mentre ch’Orlando, poi che lo disciolse,

l’aiutava a ripor l’arme sue intorno,

ch’al capitan de la sbirraglia tolse,

che per suo mal se n’era fatto adorno;

Zerbino gli occhi ad Issabella volse,

che sopra il colle avea fatto soggiorno,

e poi che de la pugna vide il fine,

portò le sue bellezze più vicine.

Per mettere a fuoco questi aspetti sono stati fondamentali gli studi di Luigi Blasucci, che ha mostrato, appunto, come la molteplicità compositiva della stanza si risolva nel montaggio, di volta in volta differente, di moduli di misura pari, identificati per via sintattica e insieme semantica (4+4, 6+2, 4+2+2, 2+4+2, ecc.). Questo è esattamente il modo in cui la varietà delle realizzazioni viene ricondotta a un’unità strutturale di rango superiore, e in cui il gioco combinatorio delle tessere compositive genera infine il “ritmo” del discorso ariostesco. Nel Furioso, poi, una simile impostazione traduce un’ideologia - diciamo - razionalista, che vuole ricondurre a misura la varietà tendenzialmente centrifuga, dunque caotica, dell’agire umano (un vero «processo di sublimazione ritmica del reale», lo definisce Blasucci).

Soggettività dell'esperienza e oggettività del mondo

Ma riduzione a misura razionale non significa rimozione o peggio cancellazione della soggettività dell’esperienza: significa piuttosto immetterla, questa soggettività, in una dialettica esteticamente feconda con l’oggettività del mondo. Il che, sul piano formale, implica che le spinte centrifughe continuino a movimentare sottotraccia le geometrie compositive e i ritmi oggettivi segnati dal metro, sottoposti costantemente alle oscillazioni impresse dalla molteplicità degli eventi e dei punti vista. Su queste ultime linee ha lavorato, in anni più recenti, l’altro grande interprete dell’ottava ariostesca, Marco Praloran (2009). Le sue ricerche, che mirano a focalizzare le funzioni narrative dei differenti modelli d’ottava, disegnano un quadro complesso. Qui pertanto ci limitiamo a isolare un aspetto emblematico, ossia le ottave “aperte”, in cui la sintassi, inaspettatamente, si prolunga oltre i confini di una stanza e coinvolge in tutto o in parte la successiva, come in queste due dove Angelica cura Medoro ferito (XIX 24-25):

Dal palafreno Angelica giù scese,

e scendere il pastor seco fece anche.

Pestò con sassi l’erba, indi la prese,

e succo ne cavò con le man bianche;

ne la piaga n’infuse, e ne distese

e pel petto e pel ventre e fin a l’anche:

e fu di tal virtù questo liquore,

che stagnò il sangue, e gli tornò il vigore;

e gli diè forza, che poté salire

sopra il cavallo che ’l pastor condusse.

Da casi come questo si ricava che nel Furioso la linea fondamentale che scandisce effettivamente gli eventi non è la metrica ma, in ultima analisi, è la sintassi, attraverso cui la voce del narratore arriva a trascendere anche la misura istituzionale rappresentata dall’ottava, la sua conformazione convenzionale.

Testi essenziali di riferimento

Balduino 1982 = A.B., «Pater semper incertus». Ancora sulle origini dell’ottava rima, in «Metrica», iii, pp. 107-58.

Blasucci 2014 = L.B., Sulla struttura metrica del «Furioso» e altri studi ariosteschi, Firenze, Edizioni del Galluzzo (ripubblica saggi editi tra il 1962 e il 2011).

Dal Bianco 2007 = S.D.B., L’endecasillabo del «Furioso», Pisa, Pacini.

Limentani 1961 = A.L., Struttura e storia dell’ottava rima, in «Lettere italiane», xiii, pp. 20-77.

Matarrese-Praloran 2016 = L. Ariosto Orlando Furioso, secondo l’editio princeps del 1516, a cura di T.M. e M.P., Torino, Einaudi.

Pozzi 1974 = G.P., La rosa in mano al professore, Friburgo, Edizioni Universitarie Friburgo (Svizzera).

Praloran 1988 = M.P., Forme dell’endecasillabo e dell’ottava nell’«Orlando Innamorato», in M. Praloran-M. Tizi, Narrare in ottave. Metrica e stile dell’«Innamorato», Pisa, Nistri-Lischi, pp. 17-211.

Praloran 1999 = M.P., Tempo e azione nell’«Orlando Furioso», Firenze, Olschki.

Praloran 2009 = M.P., Le lingue del racconto. Studi su Boiardo e Ariosto, Roma, Bulzoni.

Soldani 2015 = A.S,. L’ottava di Boccaccio e di alcuni cantari trecenteschi. Uno studio tipologico, in «Stilistica e metrica italiana», 15, pp. 41-82.

*Arnaldo Soldani insegna Storia della lingua italiana all’Università di Verona. Ha studiato soprattutto le forme della poesia italiana, lirica e narrativa, con particolare attenzione a Petrarca, Tasso, Pascoli. Tra i suoi lavori: Archeologia e innovazione nei «Poemi conviviali» (Firenze, 1993); Attraverso l’ottava. Sintassi e retorica nella «Gerusalemme Liberata» (Lucca, 1999), La sintassi del sonetto. Petrarca e il Trecento minore (Firenze, 2009), Le voci nella poesia. Sette capitoli sulle forme discorsive (Roma, 2010), La poesia moderna. Dal secondo Ottocento ad oggi (con Andrea Afribo, Bologna, 2012).

Immagine: Angelica e Medoro con i pastori

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