Nelle case risuona la voce dell'assistente virtuale: fa effetto ma si tratta pur sempre dell'esecuzione di programmazione e dettatura umane. La trascrizione e la sintesi del parlato e la traduzione in più lingue tramite servizi offerti da Google o DeepL sono sempre più soddisfacenti: ma restiamo nell'àmbito della soluzione di problemi pratici. Soluzione via via più raffinata, ovviamente, a dimostrazione che sta facendo grandi progressi l'"intelligenza artificiale", «inserendo sotto questa etichetta una serie di tecniche di vario genere: apprendimento automatico o machine learning, uso di reti neurali per l’elaborazione di dati», come scrive Mirko Tavosanis introducendo questo Speciale. Attenzione, però: siamo ben lontani dall'"intelligenza" umana. Nessuna possibilità, oggi, che nasca una Her (Lei), come nel film omonimo del 2013, in cui la voce femminile dell'assistente virtuale progredisce fino a diventare espressione prima di una coscienza individualizzata postumana e poi uno dei terminali dell'enorme entità vivente superumana che integra tutte le intelligenze artificiali connessesi tra di loro. Restando coi piedi per terra, possiamo però guardare con grande interesse all'affascinante arricchimento funzionale che le sofisticate forme di statistica dell'ia producono in vari campi, nei quali al centro sono, quasi per definizione, il linguaggio e le lingue, come spiegano nei loro interventi Davide Bacciu (reti neurali e linguaggio), Roberto Pieraccini (parlare "con" e non solo più "attraverso" i computer), Mirko Tavosanis (valutare la traduzione automatica). Senza smettere di riflettere passo dopo passo sui rischi non meno che sulle opportunità: sono sempre gli esseri umani (con i loro giudizi e pregiudizi) a istruire le macchine e sono poche multinazionali a spartirsi il cloud. Immagine: Visualizzazione social network Crediti immagine: Martin Grandjean [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)]