La lingua e gli appunti di prospettiva nascono da curiosità e necessità pratiche, legate all'esperienza di artista e pittore, e coprono l'intero arco della produzione scritta di Leonardo che oggi si conosce, spaziando dal registro concretissimo dei "ferri del mestiere" al lessico percettivo dell'osservazione dei fenomeni atmosferici, fino all'impiego disinvolto di espressioni e di uno stile sintattico mutuati dai manuali di fisica e di ottica medievali. Per questo la lingua della prospettiva presenta caratteri peculiari rispetto agli altri settori dell'esperienza tecnica leonardiana: attinge a tre diversi serbatoi lessicali e risponde a un orientamento fortemente evolutivo, che si può facilmente constatare non solo nell'assetto verbale, ma anche nella progressiva precisazione dei disegni, dei quali i testi rappresentano per la maggior parte semplici didascalie (cfr. Manni 2008; Vecce 2000).

Un lessico evolutivo

La parola prospettiva si presta a una prima esemplificazione. Essa occorre circa 150 volte nelle carte di Leonardo. Negli appunti più antichi è definita, artigianalmente, come «briglia e timone della pittura» (A, c. 93r) e suo «fondamento» (A, c. 3r). All'epoca di Leonardo era sconosciuta la distinzione moderna tra ottica (nel significato di 'scienza della visione') e prospettiva (nel significato di 'scienza del disegno tridimensionale'): la parola ottica è attestata in italiano, per quel che ho potuto accertare, al 1521 (nella stampa del volgarizzamento del De architectura di Vitruvio a opera dell'architetto milanese Cesare Cesariano). Non occorre mai, comunque, nelle carte di Leonardo, dove prospettiva acquista valenze polisemiche: può infatti comparire nei titoli degli appunti leonardiani in alternativa a diciture quali De ombra et lumine (per i passi dedicati alle emissioni di corpi luminosi o ombrosi, ma anche ai consigli dati al pittore per ottenere effetti di rilievo attraverso la giusta distribuzione di toni chiari e scuri), Dell’occhio (per i paragrafi che discutono il funzionamento dell’organo visivo, ma anche la corretta collocazione dell’osservatore rispetto al piano prospettico: il cosiddetto punto di vista), De pictura (per i brani che descrivono sia il comportamento dei raggi visivi, sia la loro proiezione sul piano prospettico, sia ancora i diversi generi di riduzione prospettica).

È inoltre un termine che Leonardo usa per comporre nuove denominazioni: tra i primi tentativi di nuove formazioni, è sintomatico che ci sia la tautologia prospettiva diminutiva, dove lo specificatore chiarisce inequivocabilmente l'effetto della costruzione prospettica. Seguono quindi, nei primi anni novanta, le denominazioni che riguardano la riduzione delle tonalità cromatiche e la perdita dei contorni di una figura a causa della distanza (prospettiva di colore e prospettiva di spedizione) e per le condizioni atmosferiche (prospettiva aerea). I contenuti sono fortemente orientati alla rappresentazione pittorica; i composti accostano il termine tecnico a specificatori tratti dalla lingua comune (aria, colore e spedizione, neosemia leonardiana per 'nitidezza'). Circa un ventennio più tardi, le nuove denominazioni che Leonardo conia non solo tradiscono l'avvicinamento all'orizzonte e alla terminologia della filosofia aristotelica ma anche l'indirizzo teorico che anima l'ultima parte della vita dell'artista. Le espressioni complementari prespettiva naturale e prespettiva accidentale, prespettiva semplice e prespettiva composta ruotano appunto intorno al problema della trasposizione, sulla parete piana del dipinto, del cono visuale che termina sulla superficie sferica dell’occhio. Il corpo stesso della parola prospettiva segue il cambiamento dei temi e dei significati: la forma volgare con prefisso pro- dei primi appunti è sostituita dopo il 1508 dalla variante prespettiva, con metatesi dal latino perspectiva e in controtendenza rispetto all'uso, che diventa maggioritario nel volgare di quest'epoca, di prospettiva (cfr. Quaglino 2014).

Sulla questione della nitidezza o spedizione si soffermano numerose note che collegano ottica e pittura sulla base dell'elementare assunto che l'occhio mette a fuoco solo gli oggetti che si trovano sul prolungamento della linea che unisce il suo centro con la pupilla: ciò che si trova accanto o intorno a questa linea risulta sfocato. Intorno alla metà degli anni ottanta un disegno piuttosto rudimentale rappresenta – sono le parole della didascalia – la palla dell'occhio e la linea a cui si drizzano le immagini (la linea che cade perpendicolarmente alla pupilla), l'unica che consente di discernerle chiaramente (Atlantico, c. 232r; cfr. Kemp 2004). Qualche anno più tardi Leonardo nomina la linea perpendicolare alla pupilla linea maestra, o linea centrale, o linea centrica, o linea media o anche infine linea radiosa (cioè che ha la funzione di portare all'occhio le immagini, come il raggio visivo), probabilmente sulla scorta delle prime letture di prospettiva teorica e applicata (la Prospectiva communis di John Pecham, risalente alla fine del XIII secolo, e gli Elementi di pittura di Leon Battista Alberti, metà del XV secolo circa); inoltre Leonardo paragona le linee laterali, che non mettono a fuoco l'oggetto, ai bracchi che nelle cacce stanano la preda senza prenderla (A, c. 103v). Queste linee sono definite false e bugiarde, perché danno dei termini, cioè dei 'contorni' delle cose (la parola proviene dalle pratiche di geometria tre e quattrocentesche), un'idea confusa e dubbiosa (Disegni anatomici, c. 22v). L'incipiente lessico tecnico è dunque accolto in un contesto linguistico di registro comune e a esso adattato paragonandolo a una situazione familiare. Negli appunti datati al 1508-10, infine, all'espressione palla dell'occhio è sostituita quella di virtù visiva, tratta dall'ambito fisiologico e probabilmente dalla tradizione ottica araba (cfr. Luperini 2008); i termini delle cose sono definiti indivisibili e insensibili, dunque invisibili (D, c. 10v; G, c. 37r: le tre voci appartengono rispettivamente al lessico proprio della geometria, della fisica aristotelica e dell'ottica). I disegni ritraggono con precisione l'anatomia oculare, le linee visive, la disposizione degli oggetti all'interno del campo visivo.

Composizione e derivazione

I due esempi indicano che il lessico della prospettiva leonardiana evolve negli anni verso una maggiore specializzazione, attraverso neoformazioni per composizione e grazie all'immissione di tecnicismi da altri linguaggi (geometria, fisica, ottica, anatomia). Come abbiamo visto per le parole linea e prospettiva, la composizione fa centro su sostantivi iperdeterminati; il contenuto semantico di questi sostantivi viene volta a volta specificato da aggettivi o genitivi che in genere appartengono a un livello discorsivo alto o medio-basso a seconda che il contesto di occorrenza riguardi la riflessione teorica o l'esperienza della pratica pittorica. Così nella serie: lume composto, lume dirivativo, lume materiale, lume primitivo, lume reale, lume refresso, lume universale di contro a lume del lume, lume liberolume naturale, lume originale, lume particulare, lume principale; o nella serie: ombra accidentale, ombra colunnale, ombra concorrente, ombra composta, ombra corretta, ombra dilatabile, ombra dirivativa, ombra originale, ombra piramidale, ombra reale, ombra semplice, ombra universale di contro a ombra congiunta, ombra imperfetta, ombra mista, ombra naturale, ombra perfetta, ombra primitiva, ombra ripercossa, ombra separata (cfr. Quaglino 2013).

Se la modalità della composizione è tratta dalla tradizione manualistica in latino, Leonardo sa appropriarsi di questo procedimento in modo originale: la ricchezza esuberante di queste serie e gli scarsi riscontri con la tradizione precedente rivelano tanto l’alto tasso di instabilità di una nomenclatura in fieri quanto la ricerca per tentativi del termine tecnicamente esatto. Si possono però notare, d'altro canto, la frequenza di alcuni specificatori e, a livello semantico, le relazioni di sinonimia o di antonimia che si stabiliscono tra le espressioni (sono sinonimi per esempio lume materiale e lume originale; sono antonimi lume particulare e lume universale). Inoltre spesso le nuove formazioni sono introdotte da glosse esplicative: «L'ombra semplice è quella che non vede alcuna parte del lume che la causa» (C, c. 13v).

Quando invece le note riguardano aspetti pratici, la sintassi assume uno stile allocutivo, rivolgendosi direttamente all'apprendista con formule fisse come: adunque tu, pittore... e l'uso dell'imperativo o del futuro iussivo. Le spiegazioni sono spesso arricchite da immagini a uso didascalico, come quella già citata dei bracchi. Il lessico proviene per lo più dal linguaggio comune, come abbiamo visto per gli aggettivi falso e bugiardo e per gli antonimi spedizione e confusione, o ancora battimento ('rappresentazione della proiezione di un'ombra in un dipinto') o rompimento ('rifrazione'); taglio, tagliamento e tagliatura ('sezione della piramide visiva rappresentata sul piano prospettico': Alberti aveva preferito i sinonimi dotti intersecazione o intercisione). Il procedimento di formazione più frequente è quello della derivazione: così da fumo derivano fumolento, fumoso e sfumoso, sfumare e sfumato; sfumare era già stato impiegato nel significato della tecnica di pittura nel Libro dell'arte di Cennino Cennini, datato tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo (cfr. Ricotta 2013). Da ombra derivano ombrare, ombrato, ombroso, ombrosità; da velo velare, velato e velazione. Quest'ultima serie è costituita da neosemie che Leonardo impiega per designare la particolare tecnica di coloritura, da lui messa a punto, che consiste nella sovrapposizione di molteplici strati di colore quasi trasparente. Produttivo è il suffisso -eggiare, che dà luogo a una serie di verbi che indicano la concretezza del fare pittorico, anche questi già attestati dal Libro dell'arte di Cennini: da campeggiare 'risaltare sullo sfondo' ai derivati da nomi di colori (biancheggiare, gialleggiare, rosseggiare, verdeggiare, cfr. Fanini 2013, Quaglino 2019). Replicando in modo originale il procedimento di formazione, Leonardo aggiunge alla serie azzurreggiare; il neologismo ricade nella spiegazione degli effetti di colore prodotti dall'interposizione dell'aria tra l'occhio e l'osservatore, rientrando nella descrizione della prospettiva aerea o di colore, "invenzione" leonardiana di cui già si è accennato, secondo la quale l'«oscurità in l'aria che s'interpone infra l'occhio e la cosa fa che essa cosa si rischiara e pende in azzurro; ma piuttosto azzurreggia nelle ombre che nelle parte luminose, dove si mostra più la verità de' colori» (Libro di pittura, c. 148v).

Riferimenti bibliografici

Fanini 2013 = Barbara Fanini, Dall’invenzione al cartone. Appunti sul lessico artistico di Leonardo, «Studi di Memofonte», XI, pp. 227-256.

Kemp 2004 = Martin Kemp, Leonardo e la piramide visiva, in Id., Lezioni dell'occhio. Leonardo da Vinci discepolo dell'esperienza, Milano, Vita e pensiero, pp. 87-116.

Luperini 2008 = Linda Luperini, L’ottica di Leonardo tra Alhazen e Keplero, Catalogo della sala di ottica del Museo leonardiano di Vinci, Milano, Skira.

Manni 2008 = Paola Manni, Riconsiderando la lingua di Leonardo, «Studi linguistici italiani», XXXIV, 2008, pp. 11-51.

Quaglino 2013 = Margherita Quaglino, Leonardo "trattatore della luce". Prime osservazioni sul lessico dell'ottica nei codici di Francia, «Studi di lessicografia italiana», XXX, pp. 93-132.

Quaglino 2014 = Margherita Quaglino, Glossario leonardiano. Nomenclatura dell'ottica e della prospettiva nei codici di Francia, Firenze, Olschki.

Quaglino 2019 = Margherita Quaglino, Il giallo di Leonardo, «Rivista di letteratura italiana», XXXVII, 2, pp. 101-108.

Ricotta 2013 = Veronica Ricotta, Per il lessico artistico del Medioevo volgare, «Studi di lessicografia italiana», XXX , pp. 27-92.

Vecce 2000 = Carlo Vecce, Parola e immagine nei manoscritti di Leonardo, in Percorsi tra parole e immagini (1400-1600), a cura di Anna Guidotti e Massimiliano Rossi, Pisa, Pacini Fazzi, pp. 19-35.

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