di Giancarlo Schirru*

La figura di Antonio Gramsci è certamente all’origine del modo peculiare con cui il Partito comunista italiano affrontò per decenni, in età repubblicana, la comunicazione pubblica. Non solo perché i suoi scritti costituirono la lettura obbligata di generazioni di dirigenti comunisti, ma anche per il fatto che molti dei quadri formatisi a diretto contatto con Gramsci occuparono posizioni di primissimo piano nel Pci del dopoguerra, primi tra tutti Palmiro Togliatti, Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro, Ruggiero Grieco. L’insegnamento gramsciano si è quindi potuto continuare in modo vivente nel partito di cui egli è stato uno dei fondatori e segretario generale.

Il «giornalismo integrale»

Il linguaggio politico di Gramsci muove da due presupposti fondamentali: il «giornalismo integrale» e la concezione pedagogica della politica. La pubblicistica a cui egli fa riferimento «presuppone non solo di soddisfare tutti i bisogni del suo pubblico, ma di creare questi bisogni e quindi di creare, in un certo senso, il pubblico stesso» e si propone di «stabilire un edifizio completo, a cominciare dalla… lingua, cioè dal mezzo di espressione e di contatto» (Q: 1726). Egli stesso fu giornalista nella stampa militante tra il 1915 e il 1922, periodo in cui ha scritto un eccezionale numero di articoli, e ha diretto «L’ordine nuovo» sia nella serie settimanale del 1919-1921, sia dopo che la testata divenne il quotidiano del neonato Partito comunista d’Italia, nel 1921. Si distacca dalla prosa classicheggiante, allora dominante anche sulle pagine dei giornali, a cui contrappone uno stile molto asciutto, con largo uso di frasi nominali («Gente in coda, quattrini in cassetta, facce liete, sospiri dei violini e sbuffi di persone accaldate. Sulla tela il dramma: figurine di gheise, ambasciatori nipponici, degenerate intellettuali dell’occidente, una donna perversa, due uomini rivali, assassinio, processo, condanna dell’innocente, scena patetica finale: la morte del reo pentito», La patria giapponese, «Avanti!», ed. torinese, 16 luglio 1916; ora in CT: 426); al registro drammatico preferisce quello ironico, se non addirittura sarcastico.

Neologismi e polemica

Due sono le aperture: innanzi tutto il gusto per i neologismi (nei suoi scritti giornalistici si hanno alcune tra le prime attestazioni note di molti termini ad es. confederale, conservatorismo, crumiresco, deamicisiano, demomassonico, idea forza, kolossal, voltagabbana), che continuerà anche nei Quaderni del carcere, testo all’origine della fortuna di molte espressioni (numerosi sono i sovietismi, cioè le forme tratte dal linguaggio politico bolscevico, tra cui citiamo solo popolo-nazione e nazionale-popolare, da cui l’attuale nazionalpopolare, con cui vengono resi i termini russi narod e narodnyj; ad alcune espressioni tradizionali vengono attribuiti significati nuovi, come avviene ad es. per fronte unico, guerra di posizione, rivoluzione passiva, o alla coppia egemonico e subalterno; sono di probabile conio gramsciano forme come cadornismo, brescianesimo, lorianismo; se si considera la data di stesura delle singole note ci si accorge inoltre che i Quaderni sono tra i testi che per primi accolgono molte parole nuove, a riprova che il loro autore, malgrado l’isolamento, riusciva a mantenere un contatto vivo con la realtà nazionale: ad es. chansonnier, cogestione, fordismo, fuoruscitismo, geopolitica, interclassista, italianizzazione, Kulturkampf, pseudoscienza, taylorismo o autarchia nel suo significato economico); il secondo aspetto per cui spesso gli scritti gramsciani abbandonano la sobrietà è la polemica, condotta senza fare prigionieri.

Montecitorio, 1925: con un filo di voce

La particolare retorica gramsciana si espresse anche nel suo unico discorso parlamentare, tenuto nel 1925, che egli pronunciò con un filo di voce costringendo l’assemblea di Montecitorio a un silenzio assoluto, e il Capo del Governo, con cui polemizzò in aula a più riprese, a protendersi verso di lui con la mano dietro l’orecchio.

La concezione pedagogica della politica fu a Gramsci spesso rimproverata sia da compagni di partito, che non mancarono di lamentarne un atteggiamento «professorale» nella direzione politica, sia da avversari affezionati a una concezione elitaria del dibattito pubblico. L’impegno educativo segnò la militanza di Gramsci fin dai suoi esordi, quando egli diede vita a un «Club di vita morale»; nel momento in cui assunse di fatto la guida del Partito comunista, alla fine del 1923, si impegnò a fondo nell’organizzazione dell’attività editoriale (che portò tra l’altro alla fondazione dell’«Unità») attraverso cui educare gli elementi contadini e operai che si avvicinavano al partito; nel 1925, da segretario, organizzò una scuola interna di partito di cui compilò personalmente le prime due dispense; nel dicembre del 1926, appena giunto a Ustica in confino, istituì i corsi di formazione per i comunisti coatti nell’isola. Qui risiede uno degli elementi che maggiormente differenzia l’idea gramsciana del partito rispetto a quella bolscevica precedente al 1917: egli pensa a un partito di popolo, educatore delle masse nazionali, e non a un partito ristretto a pochi professionisti della rivoluzione.

Alta cultura e passioni popolari

La continua ricerca del rapporto tra l’alta cultura e le passioni popolari ha consentito a Gramsci di essere anche un ottimo agitatore; gli operai torinesi ricordarono a lungo i continui colloqui con lui, nelle fabbriche, durante le occupazioni del 1920. Egli stesso ha avuto modo di raccontare un piccolo episodio di propaganda avvenuto in occasione di una riunione convocata a Torino, nel 1919, per fondare un club nazionalista sardo; probabilmente è stato proprio lui a intervenire dopo «il discorso infiammato e retorico del relatore ufficiale, adorno di tutte le veneri e gli amorini dell’oratoria regionalistica», a cui aveva risposto una controrelazione che, dopo aver rotto l’incantesimo retorico e aver conquistato l’attenzione dei presenti, «rapidamente, se pur metodicamente» aveva chiarito il significato della proposta rivoluzionaria: «Il voto per divisione fu un formidabile successo: da una parte un gruppetto di signori sgargianti, di funzionari in tuba, di professionisti lividi dalla rabbia e dalla paura con una quarantina di poliziotti per contorno di consenso, e dall’altra tutta la moltitudine dei poveri diavoli e delle donnette vestite da festa intorno alla piccolissima cellula comunista. Un’ora dopo, alla Camera del lavoro era costituito il Circolo educativo socialista sardo con 256 inscritti» (CPC: 142-43).

Bibliografia essenziale

a) Scritti di Antonio Gramsci

CPC = La costruzione del Partito comunista. 1923-1926, Torino, Einaudi, 1978.

CT = Cronache torinesi. 1913-1917, a cura di Sergio Caprioglio, Torino, Einaudi, 1980.

Q = Quaderni del carcere, a cura di Valentino Gerratana, Torino, Einaudi, 1975.

b) Altra letteratura

Cundari, Francesco (2009), Comunisti immaginari. Tutto quello che c’è da sapere sul Pci, Firenze, Vallecchi.

Matt, Luigi (2008a), La conquista dell’italiano nel giovane Gramsci, in La lingua / le lingue di Gramsci e delle sue opere. Scrittura, riscritture, letture in Italia e nel mondo. Atti del convegno internazionale (Sassari, 24-26 ottobre 2007), a cura di Fiamma Lussana e Giulia Pissarello, Soveria Mannelli, Rubbettino: 51-61.

Matt, Luigi (2008b), Aspetti linguistici delle lettere pre-carcerarie, in Gramsci nel suo tempo, a cura di Francesco Giasi, Roma, Carocci: 793-811.

Orioles, Vincenzo (1981), Retrodatazioni dagli scritti di Gramsci 1914-1920, «Lingua Nostra», XLII, n. 4: 112-17.

Orioles, Vincenzo (1982), Retrodatazioni dagli scritti di Gramsci 1914-1920_. II_, «Lingua Nostra», XLIII, n. 4: 69-72.

Orioles, Vincenzo (1992), Retrodatazioni dagli scritti di Gramsci (1914-1920) III, in Studi in memoria di Giorgio Valussi, a cura di V. Orioles, Alessandria, Edizioni dell'Orso: 221-46.

Pierini, Franco (1978), Gramsci e la storiologia della rivoluzione (1914-1920). Studio storico-semantico, Roma, Edizioni Paoline.

Sanguineti, Edoardo (2004), Schede gramsciane, Torino, UTET.

Schirru, Giancarlo (2008), Filosofia del linguaggio e filosofia della prassi, in Gramsci nel suo tempo, a cura di Francesco Giasi, Roma, Carocci: 767-91.

Schirru, Giancarlo (2009), Nazionalpopolare, in Pensare la politica. Scritti per Giuseppe Vacca, a cura di Silvio Pons, Roberto Gualtieri, Francesco Giasi, Roma, Carocci: 239-53.

*Giancarlo Schirru insegna glottologia e linguistica all’Università di Cassino. Nella sua attività di ricerca si occupa di dialettologia italiana antica e moderna, latino pratico di età imperiale, linguistica armena e iranica esaminate in prospettiva comparativa, storia del pensiero linguistico italiano dell’Ottocento e del Novecento. È membro della Società Italiana di Glottologia, della Société de Linguistique Romane e del comitato scientifico della Fondazione Istituto Gramsci. Tra i suoi studi più recenti: Parola minima e piede minimo in armeno, «Archivio glottologico italiano», XCII 2007: 179-202; Geminazione distratta nei dialetti di Toscana_, «Bollettino di italianistica », V 2008: 45-63;_ Propagginazione e categorie nominali in un dialetto del Molise, in I dialetti meridionali tra arcaismo e interferenza_, a cura di Alessandro De Angelis, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2008: 292-309_; Un indizio della conservazione di /k/ dinanzi a vocale anteriore nell’epigrafia cristiana di Tripolitania, in Leptis Magna. Una città e le sue iscrizioni in età tardoromana, diretto da Ignazio Tantillo, Cassino (Fr), Università degli Studi di Cassino, 2010: 303-11 (con Luca Lorenzetti); La pendenza spettrale come indice acustico della tensione laringea. Osservazioni su alcune varietà armene_,_ in Parlare con le persone, parlare alle macchine: la dimensione interazionale della comunicazione verbale. Atti del VI Convegno AISV (Napoli, 3-5 febbraio 2010);Linguistica generale, Roma, Carocci, 2010 (con Grazia Basile, Federica Casadei, Luca Lorenzetti, Anna M. Thornton). Cura con Giuseppe Vacca la serie annuale degli Studi gramsciani nel mondo (Fondazione Istituto Gramsci – Il Mulino).

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