Pirandello erode dall’interno gli schemi della scena borghese e naturalistica, mettendo in crisi il mito ottocentesco dell’oggettività e dando voce alle angosce esistenziali del Novecento. In questo senso la sua opera costituisce indubbiamente un ideale spartiacque nella storia della drammaturgia italiana moderna. La ragione più profonda della scelta di un italiano medio alieno da accentuati sperimentalismi espressivi è da ricercare in primo luogo nella natura del messaggio che Pirandello intendeva trasmettere, ovvero nelle idee che ispirano gran parte della sua produzione letteraria e teatrale, e ne determinano modi e obiettivi. Nella sua inchiesta sulle linee di resistenza di un complesso sistema di adattamento sociale, fondato anche su una rete di tatticismi e di finzioni, lo scrittore era naturalmente portato a privilegiare una formula linguistica che, con tutti i suoi limiti, rifletteva più e meglio di altre quell’apparato di stratagemmi e convenzioni oggetto dell’iniziativa demistificatrice da lui condotta. Per rappresentare un codice sociale sofisticato e ambiguo occorreva fare leva su uno strumento linguistico altrettanto raffinato e sottile, che lo scrittore individua appunto nell’italiano della tradizione.

Pirandello e dimensione pragmatica del discorso

La grande novità del teatro di Pirandello risiede nell’accresciuto interesse per la dimensione pragmatica del discorso, cioè per gli scambi linguistici intesi come vere e proprie azioni compiute dai parlanti. Si tratta di un’attitudine che emerge con chiarezza dall’analisi di vari tratti tipici dell’interazione comunicativa, e in particolare di quelli di ambito para- o perilinguistico. La variazione di tono, la prossemica, la gestualità, la mimica, gli ammiccamenti, le pause, i sospiri e altre modalità del processo di enunciazione sono precisate spesso dall’autore in didascalie come «più col cenno che con la voce» o «a bassa voce, ma vibratissima» e simili (i due esempi sono ripresi da Quando si è qualcuno, in D’Amico, Varvaro 2007: 708, 710). Così facendo Pirandello sollecita gli interpreti a realizzare una sintesi tra l’elemento corporeo, l’elemento vocale e l’elemento propriamente linguistico della comunicazione.

Marcatura grafica dell’oralità

Né può essere sottovalutata, in questa prospettiva, la fondamentale natura di indicatori pragmatici di alcuni elementi grafici utilizzati in ogni battuta delle commedie pirandelliane, come i punti esclamativi e interrogativi, che alludono a caratteristiche marcate dell’intonazione, o come i punti di sospensione, che segnalano all’interlocutore un’esigenza di cooperazione. Oltre a fare ampio uso di una punteggiatura “espressiva”, Pirandello sperimenta ulteriori strategie di marcatura grafica dell’oralità, come la scrittura spaziata di alcune parole e frasi, che risponde a esigenze di messa in rilievo generate o favorite proprio dal fluire rapido e vivace del dialogo.

Eduardo, la lingua credibile

L’influenza della lezione pirandelliana è chiaramente avvertibile nell’attività teatrale di Eduardo De Filippo, che coniuga la sua programmatica ricerca della naturalezza linguistica con il motivo della difficoltà di comunicare, caro a Pirandello così come ad altri autori europei del secolo scorso, da Ionesco a Beckett. Il sostanziale realismo dello scrittore (messo in risalto da De Blasi 2004: 120-23) scaturisce appunto dalla capacità di offrire un’immagine credibile ed efficace della complessa stratificazione linguistica della Napoli contemporanea, eletta a campione rappresentativo di una parte significativa del territorio italiano. Si tratta di un realismo di marca novecentesca, che non si accontenta di registrare e riprodurre con diligenza i dati, ma all’occasione si ingegna di arricchirli di senso mediante l’intonazione sbilenca, la sottolineatura espressionistica, lo scatto visionario del grande attore-autore.

Teatro popolare e teatro borghese

Rispetto al solo italiano e al solo napoletano, il mistilinguismo italiano-napoletano del parlato teatrale di De Filippo realizza appunto un significativo ampliamento dei registri espressivi, utile a conseguire gli effetti drammatici ricercati; ed è il modo eduardiano di comporre la tradizione del teatro popolare con quella del teatro borghese. Le didascalie – che nell’opera di De Filippo, come già in quella di Pirandello, sono particolarmente frequenti, ampie e minuziose – provvedono a integrare le parole con indicazioni sui gesti e sugli altri aspetti (visivi, sonori, spaziali, scenografici) della rappresentazione, contribuendo a definire il carattere di una scrittura che ingloba e riassume l’esperienza della drammaturgia novecentesca e quella dell’antica scuola comica italiana (sulle didascalie teatrali si veda Mingioni 2014).

Le traiettorie antirealistiche e il plurilinguismo

Altre figure di rilievo della scena italiana dell’ultimo secolo, come Giovanni Testori, Dario Fo, Carmelo Bene o Annibale Ruccello, si collocano su traiettorie diverse rispetto alla fondamentale linea di ricerca teatrale impostata da Pirandello e proseguita con originalità di soluzioni da De Filippo. Le differenze principali consistono nel forte sviluppo dell’antirealismo e nella connessa rinuncia alla naturalezza linguistica. Soprattutto a partire dalla seconda metà del Novecento, la crescente diffusione dell’italiano, la fortuna dell’italiano regionale nel parlato corrente, la persistenza dei dialetti in ambito locale, i connessi ricorrenti fenomeni di code switching e code mixing, lo straordinario proliferare di gerghi e linguaggi speciali, favoriscono la ripresa in una chiave moderna del plurilinguismo scenico, aggiornato alla luce di un’idea dello spettacolo tipica della cultura novecentesca, che tende ad attribuire un valore positivo alla contaminazione, e si fa attrarre dalle espressioni creative dell’inautentico.

Grammelot, vertice dell’inautentico

Uno dei vertici assoluti dell’inautentico a teatro è costituito dal grammelot, che riprende le sonorità, l’intonazione e le cadenze di una lingua o di un dialetto senza associarle a parole e frasi reali; ma va detto che la manipolazione e la deformazione del linguaggio è un tipico modus operandi di Fo, in perfetta sintonia con gli intenti ludici e al tempo stesso demistificanti perseguiti dall’autore. Si spiega così, per esempio, il gusto di fare il verso ai pretenziosi linguaggi per iniziati, a cominciare da quello dei linguisti, a cui Fo rimprovera di indulgere troppo spesso ad «un gergo assolutamente apodittico, a dir poco sofisticato e criptico, già patrimonio della setta anabattista-scismatico-asclepiadea-alfatica degli eruditi extrasemantici-atarassici di Aquileia» (Fo 1992: 84).

Petrolini-Fo e il senso del ridicolo

In Settimo: ruba un po’ meno la ricerca di un eloquio falsamente scientifico porta all’invenzione di neologismi occasionali come feretrofobia, che «è la malattia di quegli individui che non sopportano l’idea di restar chiusi dentro una cassa da morto» (Fo 1974: 109). Attraverso l’improbabile onomaturgia Fo mira a mettere in ridicolo l’ingiustificata e velleitaria esibizione di pomposi tecnicismi lessicali, usati come colpi di grancassa per coprire la mediocrità o, peggio, i secondi fini del discorso. Su questo piano, la sua ricerca presenta evidenti analogie con il percorso artistico di altri notevoli sperimentatori dello spettacolo novecentesco, da Petrolini a Campanile e a Totò.

Bibliografia

D’Amico, Varvaro (2007) = L. d’A., Alberto V. (a cura di), L. Pirandello, Maschere nude e Opere teatrali in dialetto, Milano, Mondadori.

De Blasi 2004 = Nicola De B., Per un’indagine sull’italiano di Eduardo, in Eduardo De Filippo scrittore, a cura di N. De Blasi e T. Fiorino, Napoli, Libreria Dante & Descartes, pp. 99-126.

Mingioni 2014 = Ilaria M., A parte. Per una storia linguistica della didascalia teatrale italiana, Roma. SER.

Fo 1992 = Dario F., Fabulazzo, Milano, Kaos.

Fo 1974 = Dario F., Le commedie, Torino Einaudi, vol. I.

*Pietro Trifone è professore di Storia della lingua italiana nell’Università di Roma “Tor Vergata”. Queste le sue opere più recenti: Storia linguistica dell’Italia disunita_, Bologna, Il Mulino, 2010; (con C. Giovanardi)_ La lingua del teatro_, Bologna, Il Mulino, 2015;_ Pocoinchiostro. Storia dell’italiano comune_, Bologna, Il Mulino, 2017. Trifone ha inoltre curato i volumi_ Lingua e identità. Una storia sociale dell’italiano_, Roma, Carocci, 2009 e_ Città italiane, storie di lingue e culture_, Roma, Carocci, 2015._