Ettore Petrolini (1884-1936), romano,  è stato un attore e autore teatrale, noto soprattutto per le commedie in dialetto romanesco. Petrolini si vantava di essersi formato da autodidatta, senza aver frequentato scuole di alcun tipo, tanto meno scuole di recitazione. La mancanza di modelli di riferimento non significa che Petrolini sia da considerare un attore tutto istinto e senza regole. In realtà egli fu un attento indagatore dei meccanismi della recitazione, in particolare per quel che riguarda il rapporto col pubblico.

Ammirato da Marinetti

Petrolini appartiene alla schiera degli attori-autori, la stessa, tanto per fare nomi di area partenopea, di Raffaele Viviani e dei fratelli De Filippo. La sua produzione può essere suddivisa in tre fasi. La prima è rappresentata dalla macchietta, un genere particolare che consiste in uno schizzo rapido e incisivo di un tipo comico. A partire dal 1910 nascono, per citare solo alcuni titoli famosi, Cyrano, Paggio Fernando, Amleto, I salamini, Gastone, Sor Capanna, Fortunello. La seconda fase è quella della rivista e del varietà, un genere che si caratterizza come un centone di numeri (canzoni, balletti, parodie, improvvisazioni varie) tenuti insieme da una trama comune. Petrolini, a partire dal 1915, scrive opere come Venite a sentire, Acqua salata, Quarantasette morto che parla, Amori de notte, Ottobrata, Nerone, Romani de Roma. È questo il periodo del rapporto tra Petrolini e i futuristi; è infatti ben nota la grande ammirazione nutrita da Marinetti nei confronti dell’autore romano. In seguito alla crescente popolarità, Petrolini è costretto a incrementare il proprio repertorio ricorrendo anche alla riduzione di testi altrui che, però, una volta da lui diretti e interpretati, finiscono in qualche misura con l’appartenergli. Ricordiamo il caso dell’adattamento del pirandelliano Lumìe di Sicilia, che diventa Agro de limone; ricordiamo anche Il cortile da Fausto Maria Martini, Quarantasette morto che parla da Salvatore D’Arborio, Un garofano da Ugo Ojetti, Er castigamatti da Giulio Svetoni. Con gli anni venti del Novecento ha dunque inizio la terza e ultima fase della produzione petroliniana, quella del teatro “serio” o se si preferisce, della commedia più tradizionale in più atti. Ed ecco commedie più mature come Gastone (1924), Il padiglione delle meraviglie (1924), Er castigamatti (1926), Benedetto fra le donne (1927), Chicchignola (1931). Il metropolitano, rimasta incompiuta per la sopraggiunta morte dell’artista.

Macchiette, lingue e registri

La prima fase della produzione petroliniana, quella delle macchiette, appunto, è la più creativa per quanto riguarda le trouvailles linguistiche; tuttavia anche nelle commedie più lunghe la maggiore medietà della lingua scritta veniva poi in qualche modo accompagnata dall’artista con le sue digressioni e i suoi “slittamenti” recitativi. Lo scoppiettante gioco verbale, il ricorso a registri e lingue diversi, rende difficile circoscrivere la produzione petroliniana nei confini del teatro dialettale. Petrolini inventa, infatti, un caleidoscopio linguistico che deve tenere il passo di una vena surrealista. Nelle macchiette giovanili compaiono diverse lingue (italiano letterario, italiano aulico, dialetto, latino maccheronico, francese, cispadano), ma anche diversi registri che mirano a caratterizzare i personaggi dal punto di vista sociolinguistico. Italiano e romanesco a volte si alternano in modo inatteso con un effetto spiazzante. In Giggi er bullo, macchietta in dialetto, si legge questa battuta: «Avevamo aperto una fabbrica di letti in ferro vuoto. Lui metteva il ferro… io mettevo il voto…», in cui l’artificio retorico consiste nel disarticolare la polirematica ferro vuoto e nel replicare l’aggettivo, dopo studiata pausa, nella forma romanesca.

«Postergando i prolegomeni della mia subcoscienza»

L’opposizione italiano-dialetto ritorna costantemente nei testi petroliniani. Nelle commedie, tuttavia, il contrasto va oltre il semplice gioco di prestigio linguistico. L’interazione tra italiano e romanesco è condotta in modo tale da far risaltare la fisionomia socioculturale dei personaggi. Nella pièce Gastone si osserva una netta separazione tra coloro che si esprimono in dialetto e coloro che parlano in italiano; il divario linguistico tra i protagonisti della vicenda è specchio della loro appartenenza a mondi diversi. Gastone Durville è un vagheggino inconcludente che tenta di circuire il proprio interlocutore con un italiano farcito di “paroloni” tanto rumorosi quanto vuoti di senso. Memorabile uno scambio di battute con lo zio Vincenzo, paladino della semplicità e della concretezza veicolata dal dialetto romano. Gastone si lancia in uno stralunato ragionamento: «Se l’ipotiposi del sentimento personale postergando i prolegomeni della mia subcoscienza, fosse capace di reintegrare il proprio subiettivismo, alla genesi delle concomitanze, allora io rappresenterei l’autofrasi della sintomatica contemporanea, che non sarebbe altro che la trasmificazione esopolomaniaca…». Lo zio Vincenzo, però, non si lascia raggirare dal turbinio di parole sconclusionate e risponde con un perentorio «Ma vatte a buttà a fiume!».

Nella dialettica tra italiano e dialetto si inserisce anche il cispadano, la parlata “burina” per eccellenza. Vediamo brevemente la fisionomia di questo “burinese” d’inizio Novecento: Tudesche ‘Tedeschi’, quadrine ‘quattrini’, culezzione ‘colazione’, imbressiunate ‘impressionato’, appundamente ‘appuntamento’, tenche ‘tengo’.

«Er dialetto francese»

Per completare il quadro del plurilinguismo petroliniano occorre dare uno sguardo alla presenza delle lingue straniere e del latino. L’effetto comico è dato dagli spassosi fraintendimenti dei popolani romani, che non capiscono il senso delle parole francesi. Così, in Gastone,  lo zio Vincenzo tenta di spiegare a Lucia il significato del francese enfant gâté in questo modo: «So porcherie che non conosco, vorà dì che t’infanghi te». Il latino è presente soprattutto come latino maccheronico. Nerone a un certo punto esclama «panem et circentibus», e una voce lo riprende «panem et circences» e Nerone di rimando «Cacchibus…c’è uno che parla bergamasco!» (PN, 89). In Amori di notte il proverbio inventato e allusivo di Demetrio «Muglieribus, che non amat consortibus, incorniciatum est» fa esclamare a Gregorio «’Mbè? Che c’entra mo er dialetto francese?» e suscita la replica sdegnata di Cleofe «Che ignorante! Ha parlato spagnolo! Nu’ lo senti che cià messo l’osso!».

Scioglilingua

Un altro aspetto fondamentale della creatività linguistica petroliniana è costituito dai giochi linguistici: invenzione e deformazione delle parole, false etimologie, qui pro quo.

Vediamo qualche esempio di storpiature: coliche antipatiche ‘coliche epatiche’, apatite ‘epatite’, incefalite metallurgica. Diffuse le ricostruzioni popolari: capezzolo ‘capezzale’ , frigorifero ‘fedifrago’, sborniaci ‘bosniaci’, tumefatti ‘stupefatti’, automorbidi ‘automobili’. Attraverso il gioco linguistico Petrolini sovverte il senso comune, rovescia la logica, irride le regole della grammatica. Sono affascinanti le scomposizioni e ricomposizioni arbitrarie delle parole: orologio/argentologio/nichelologio, miope/luipe/lorope, epidemia/epidenostra. Sono molto numerosi i casi di omonimi, il cui effetto ludico è evidente, soprattutto nelle coppie formate da un nome proprio e da un nome comune: Vespasiano/vespasiano ‘bagno pubblico’, Pio/pio ‘piglio’. Giochi legati alla grafia: abbattuto/ha battuto, sesterzi/se sterzi.

Non mancano veri e propri scioglilingua: lascia stare il questore a quest’ora, non so quest’ore da parlare di questore; una biscia floscia, s’inguscia, nella grascia, ambascia,/all’uscio dell’angoscia cresce ed esce,/rinasce e poscia pasce e pesce piglia.

Dal rione all’arte

In conclusione, Petrolini trasformò in espressione artistica di alto profilo ciò che fino a lui era rimasto confinato negli scenari rionali della città. E del resto il primo ad essere diffidente verso la qualifica di autore dialettale fu proprio lo stesso Petrolini, il quale firmò così, con la solita dose di umorismo scanzonato, il proprio testamento artistico: «Non ho mai pensato di fare del teatro romanesco; se il teatro romanesco fa Petrolini, pazienza!... In questo caso, fa d’uopo abbozzare; ma io al teatro romanesco non ci tengo né ci… tesi mai!» (Modestia a parte).

Principali edizioni del teatro e degli scritti petroliniani

E. Petrolini, Il teatro, a cura di G. Antonucci, Roma, Newton Compton, 1993

E. Petrolini, Facezie, autobiografie e memorie, a cura di G. Antonucci, Roma, Newton Compton, 1993

E. Petrolini, Macchiette, lazzi, colmi e parodie, a cura di G. Antonucci, Roma, Newton Compton, 1994

E. Petrolini, Teatro di Varietà, a cura di N. Fano, con la collaborazione di A. Calò, Torino, Einaudi, 2004

Petrolini inedito. Commedie, macchiette e stornelli mai pubblicati, a cura di C. Giovanardi e I. Consales, prefazione di G. Proietti, Roma, Gremese, 2010.

*Claudio Giovanardi è professore ordinario di Linguistica italiana all'Università Roma Tre. È socio ordinario dell'Accademia dell'Arcadia. Tra i suoi interessi scientifici particolare rilievo hanno il dibattito linguistico del Cinquecento, la lingua del teatro italiano antico e moderno, lo studio del dialetto romanesco in chiave diacronica e sincronica.