di Beatrice Cristalli*

«I miracoli letterari non esistono». Giuseppe Tomasi di Lampedusa crede da sempre in un mistero artistico che deve, per una necessità instrinseca alla dimensione letteraria, rimanere irresoluto. Nelle opere dei grandi maestri si percepisce, infatti, un «"quid" irrazionale, un elemento segreto, impenetrabile, inafferrabile» che è allo stesso tempo un suono di lontane e rivelatorie costellazioni. Eppure, il testo trova una sua ragione ontologicamente verificabile nella sua complessa struttura, in quello che viene definito sistema-mondo di carta e inchiostro. Accanto al primato dell'arte trova spazio, infatti, una nuova teorizzazione che garantisce il successo del suo messaggio: l'attualizzazione del passato.

Maria Antonietta Ferraloro, L'opera-orologio. Saggi sul Gattopardo

Queste riflessioni, confluite nelle cosiddette Lezioni (o Letterature), si presentano come uno strumento essenziale per ricostruire il fitto reticolato speculativo del suo grande romanzo Il Gattopardo, sia sul piano della progettualità, sia sulla sua effettiva elaborazione formale. Sulla scia degli insegnamenti del panorama letterario internazionale, i corsi di natura privata che il  principe tenne negli anni che vanno dal 1953 al 1955 a un ristretto circolo di intellettuali siciliani ‒ tra i quali spicca un giovanissimo Francesco Orlando ‒  insistevano proprio sulla ricerca del perfetto equilibrio tra «fantasia regale dell'autore» e composizione finzionale: se in arte «comunicare è tutto» occorre costruire un dettato letterario che resista a ogni generalizzazione, che sappia coniugare al suo interno plurigeneriche contaminazioni sulla base di una meticolosa attenzione ai congegni e automatismi del meccanismo testuale. Il saggio di Maria Antonietta Ferraloro L'opera-orologio. Saggi sul Gattopardo (Pacini Editore) parte proprio da qui, dalla volontà di consegnare più luoghi alla mappa narrativa gattopardiana, insistendo, in particolare, sulle linee aggiornate della critica letteraria. Fondamentale, secondo il pensiero della studiosa, è in primis ripercorrere le varie tappe che conducono l'autore a considerare la «disattenzione storica» come costitutiva dell'esercizio letterario, a dimostrazione del fatto che solamente l'arte ‒ un'arte perfettamente osservabile nelle sue essenziali componenti, esattamente come il cuore di un orologio ‒ possiede al sommo grado la capacità evocativa. Se rileggiamo alcune pagine delle Lezioni, soprattutto quelle dedicate al Barnaby Rudg di Dickens, troviamo un invito preciso che il maestro fa ai suoi allievi e, in una prospettiva più ampia, alla sua idea di auctor: le strade di Londra private di una referenzialità certa e «fuori di ogni tempo, di ogni probabilità», oltre a diventare estremamente reali per il lettore ‒ e funzionali alla creazione di un immaginario vitale, aperto ed eterno ‒, risultano essere necessarie alla creazione di un mondo sospeso tra un passato già definito e la conoscenza di quest'ultimo a partire dai «bagliori fluorescenti di un futuro lontano» ‒ letterario e non solo ‒ che aspetta solo di mettere in moto le sue particolarissime lancette. Perché è vero che Lampedusa si serve del Gattopardo per veicolare un chiaro messaggio ideologico in merito alla crisi politica e sociale del 1860, ma la rappresentazione, da un punto di vista storiografico, è profondamente legata alla ragione poetica della fabula, ovvero a una «ri-semantizzazione del reale».

Una visione di stile, lingua e comprensione umana

Il mondo che il romanzo trattiene non può presentarsi come una arida «riproduzione fotografica» né tantomeno come un «oggetto da museo» ‒ anche i personaggi rigorosamente storici, confessa il principe, sono insopportabili ‒ , bensì deve presentarsi più come una visione di stile, lingua e comprensione umana filtrata dallo spirito letterario dello scrittore. Senza la mediazione dell'arte, sintetizza perfettamente la Ferraloro, la sostanza storica di una determinata epoca del passato potrebbe essere destinata a evaporare senza lasciare alcuna traccia. L'opera, invece, deve parlare e rinnovarsi in eterno. Ecco che la dichiarazione di Leonardo Sciascia ‒ già sulle tracce delle motivazioni topografiche del romanzo a partire dagli anni '60 ‒ risulta, a questo punto, essere più limpida: la «superiore mistificazione che è superiore verità» indirizzata da quest'ultimo alla novella Libertà di Giovanni Verga, pone l'accento anche sul gioco combinatorio dell'arte come declinazione di quel fondamenale assioma aristotelico che Lampedusa traduce nel suo sistema narrativo: il romanzo assomiglierà molto di più alla poesia ‒ «che è più filosofica e seria della storia» ‒ perché essa si occupa dell'universale e non del particolare. Lampedusa percepisce, infatti, la sua Storia in modo diverso, ed è il motivo per il quale Italo Calvino, in un saggio del 1959, riconosceva gli elementi di modernità dell'impianto ottocentesco gattopardiano. Proprio in virtù di una nuova visione del mondo che non condivide i «tradizionali punti di riferimento dell'antropologia romanzesca», tra l'individuo e lo scorrere degli eventi non vige più un rapporto speciale; se «il movimento della storia non è la sostanza che spiega i comportamenti del personaggio», la scrittura, che ha il compito di attualizzare costantemente il contenuto della sua narrazione, accoglie allora solo i fatti vissuti attraverso un racconto secondo, quello parziale ed estremamente soggettivo dell'io, «sull'orizzonte percettivo dei protagonisti». I fatti grandi non possono esistere. Soprattutto, si confondono con il corso cieco della vita come un «transito inesorabile verso la morte».

Un velo di pietà

La visione nichilista del principe, sapientemente declinata nella scelta temporale della prolessi, sembra raggrumarsi attorno ai dialoghi, alle azioni, all'avventura terrena di don Fabrizio, che si fa summa, nella Parte VII, di una condizione esistenziale. Non è un caso che proprio sul tema della morte, sia stata evidenziata una assonanza leopardiana, anche se questa, nel dettato finzionale del Gattopardo, presenta un esito «mitico», così come è stato definito da Nunzio Zago: il cosiddetto «inarrestabile ritorno alla materia organica», oltre a caricarsi dei contenuti del desiderio e a configurarsi come una liberazione dagli affanni del «ciclo di produzione e distruzione», sollecita l'autore a presentare, come ultima possibilità della parabola umana, un'approdo solidaristico, che ugualmente si distacca, ‒ in parte ‒ dalla posizione del poeta-filosofo recanatese nella Ginestra. Don Fabrizio, inoltre, a differenza dell'Islandese o del Giobbe leopardiano, non si ribella neppure per un istante al «dì funesto». Lampedusa sembra stendere, pertanto, un velo di pietà sulla estrema debolezza degli uomini, i quali, di fronte a un ritmo che consuma  e che amplifica la loro incapacità di non produrre angoscia e danno, possono ancora recuperare, secondo la Ferraloro, «il sentimento ancestrale di un'esperienza di conforto, condivisione e fratellanza con i propri simili». Ecco che il grande discorso sulla storia diventa un discorso sulla morte, che a sua volta diventa un discorso sulla vita. Una vita che, dal microcosmo della Sicilia-mondo, si apre alla verità e muta incessantemente per poi essere miniaturizzata, a poco a poco, nel vero di ogni io portatore di un messaggio non definitorio. In ogni caso, le lancette di questo mondo di uomini e variabili decadenze, continueranno a girare.

*Beatrice Cristalli, nata nel 1992 a Piacenza, è laureata in Stilistica del testo presso l’Università degli Studi di Milano. Si occupa di Critica e Teoria della Letteratura, Semiotica, Narratologia, Filosofia del Linguaggio, Linguistica e Sociolinguistica. Collabora con diverse testate culturali online e sta conducendo l’indagine Come parla la critica letteraria del web per il Portale Treccani (Lingua italiana).