di Neri Binazzi*

Il lessico dialettale a Firenze

Progettare e compilare un vocabolario dialettale significa, preliminarmente, interrogarsi su ciò che, al livello lessicale, costituisce un elemento differenziale rispetto a quanto è riferibile al versante “lingua comune”. Ma significa anche, spostandosi dalla prospettiva dello studioso a quella del parlante, interrogarsi sulle modalità linguistiche che vengono praticate per esprimere solidarietà rispetto a un puntuale contesto sociale e antropologico.

La “dialettalità”, del resto, ha una sorta di doppia anima: da un lato si definisce evidenziando quei tratti che in quanto tali costituiscono uno scarto rispetto a quelli che definiscono la norma comune (per quello che ci riguarda, la “lingua italiana”), dall'altro rimanda al ruolo del comportamento linguistico come modo di espressione del senso di appartenenza.

Questo continuo confronto tra ciò che lo studioso può dire “sulla carta” (cioè valutando la distanza tra gli elementi in gioco), e ciò che ci mettono di fronte la percezione dei parlanti e l’uso effettivo, è obbligatorio a Firenze, dove dialetto e lingua non si definiscono come codici contrapposti, e dove in special modo a livello lessicale sono continui sconfinamenti e sovrapposizioni. In questo quadro proprio il perdurante conforto della lessicografia italiana che continua ad accogliere senza particolari riserve parole usate a Firenze e al massimo comprese (ma non usate) fuori di Toscana (pensiamo ad acquaio 'lavandino della cucina') rappresenta un improvvido sostegno alla percezione del fiorentino di “non parlare dialetto”.

L'operazione di messa a fuoco di lessico orientato in senso dialettale è dunque, nella Firenze culla della lingua, particolarmente complicata per l'intersecarsi di più elementi: se la difficoltà nel distinguere con certezza ciò che è specifico del parlato fiorentino e ciò che è riferibile anche a un parlato italiano rende necessario integrare i pareri dei repertori “di lingua” con l'esperienza d'uso dei parlanti, al tempo stesso va considerato che, proprio nella percezione diffusa dei parlanti stessi, la lingua locale si discosta dall’italiano solo nel suo essere stilisticamente più “bassa”, se non intrinsecamente disponibile alle tonalità più espressive. Ma così facendo si rischia di perdere per strada quel vocabolario del parlato fiorentino che non si discosta da quello della lingua comune solo per ciò che è utile a dare colore alla conversazione. È infatti possibile individuare un’ampia porzione di lessico che, normalmente in uso a Firenze, non si può rinchiudere nella riserva degli usi scherzosi ed espressivi in genere; esiste, insomma, e ha una sua rilevante consistenza, un lessico che è “locale” ma che riguarda normali esigenze della comunicazione. In ordine sparso, parole come il già citato acquaio, o granata ('scopa'), cannella (‘rubinetto’), rigovernare (‘lavare i piatti’) non possono essere considerate, in quanto tali, di registro informale (se non per il fatto che chiamano in causa oggetti e concetti consuetudinari): e tuttavia l’uso effettivo nel resto d’Italia – che non sempre riflette ciò che registrano i vocabolari della lingua italiana – si guarda bene dall’accoglierle.

La “regionalità” dell’italiano

Da un altro punto di vista, e allargando per un momento l'orizzonte da Firenze all'Italia linguistica contemporanea, si osserva che nelle effettive pratiche linguistiche degli italiani la lingua comune continua ad accogliere elementi di per sé riconducibili alle tradizioni linguistiche locali (si pensi ai diffusi eventi comunicativi “mistilingui”, o al carattere spiccatamente “regionale” del parlato italiano). Per quanto riguarda il vocabolario, poi, questo dialogo tra “lingua comune” e “dialetti” è da sempre all'ordine del giorno, perché proprio il lessico relativo a oggetti e momenti della vita quotidiana è in Italia particolarmente soggetto a variazione da luogo a luogo. Soprattutto nei settori più comuni dell’esperienza, infatti, il panorama degli usi mostra tuttora, nelle diverse aree geo-linguistiche, uno spiccato radicamento di voci che spesso hanno un puntuale riscontro nel dialetto sottostante. Cosicché l’italiano stesso pare ancora alla ricerca, proprio in quei settori,  di una “norma” unitaria (domani l’altro o dopodomani? ora o adesso? mezzogiorno meno venti o venti a mezzogiorno?), e non di rado succede che le diverse opzioni siano tacitamente accettate come equivalenti, e lasciate tranquillamente a dividersi il campo, cioè il territorio geografico dell’uso.

Al lessico della quotidianità, dunque, manca ancora, in molti casi, un inventario di riferimento effettivamente condiviso rispetto al quale definire il grado di “dialettalità” delle diverse voci in uso nelle diverse aree del Paese.

Il VFC: il dialetto dalla carta ai comportamenti

La compilazione del VFC, che ha portato finora alla pubblicazione on-line (www.vocabolariofiorentino.it) di oltre 3.600 schede lessicografiche e al saggio a stampa Parole di Firenze (2012), procede attraverso la verifica sul campo di conoscenza e uso di voci e locuzioni la cui dialettalità è riconducibile alla loro contrastata cittadinanza nell’inventario dell’italiano testimoniato dalla lessicografia italiana contemporanea. La fonte principale del lemmario sottoposto a indagine è il Novo vocabolario della lingua italiana (il cosiddetto Giorgini-Broglio), strumento partorito dalla politica linguistica manzoniana per uniformare sull’uso fiorentino il paradigma lessicale dell’Italia postunitaria: integrato da altre testimonianze d’epoca e contemporanee, lo spoglio critico del Giorgini-Broglio (cioè ottenuto confrontando in diacronia quella testimonianza tardo-ottocentesca con alcuni repertori lessicografici dell’italiano di oggi) ha prodotto un inventario lessicale di “fiorentinismi” la cui vitalità è stata puntualmente verificata con interviste sul campo.

Sollecitati a esprimersi su conoscenza e uso di questo inventario, gli informatori hanno ricondotto i concetti di “conoscenza” e di “uso” alla manifestazione di puntuali esecuzioni, che a loro volta tendono a evocare particolari esperienze di vita: per i parlanti, dunque, rispondere positivamente alle richieste previste dall’indagine si è misurato e risolto nella possibilità di produrre esecuzioni “sintomatiche”, cioè rivelatrici della piena condivisione dell’esperienza di lingua avvertita come tipica della propria comunità di riferimento.

Ogni scheda del VFC cerca dunque di rendere conto del modo in cui un inventario di entrate lessicali che, per quanto ricostruibile sulla carta, non sembra collocabile sul versante “lingua italiana”, può essere riferito tanto più al versante “dialetto” in quanto attiva la produzione di testimonianze che, agli occhi dei parlanti, sono rivelatrici insieme di quei modi e di quei mondi in cui si racchiude e si esprime l'esperienza di lingua e di vita di una particolare comunità linguistica.

Bibliografia

Neri Binazzi, Per un vocabolario dialettale fiorentino, in «Studi di lessicografia italiana» XIII (1996), pp. 183-252.

Teresa Poggi Salani et alii, Dall’officina del vocabolario fiorentino, in AA.VV., L’Accademia della Crusca per Giovanni Nencioni, Firenze, Le Lettere 2002, pp. 453-464.

Neri Binazzi, Per una lessicografia dalla parte del parlante: il Vocabolario del fiorentino contemporaneo, in F. Bruni, C. Marcato (a cura di), Lessicografia dialettale. Ricordando Paolo Zolli. Atti del Convegno di Studi (Venezia, 9-11 dicembre 2004), Roma-Padova, Antenore 2006, pp. 243-263.

Neri Binazzi, L’appartenenza rivelata. Lessico e tradizioni del discorso nel parlato fiorentino, in «Quaderni del Dipartimento di Linguistica dell'Università di Firenze» 17 (2007), pp. 137-168.

Teresa Poggi Salani, Neri Binazzi, Matilde Paoli, Maria Cristina Torchia, Parole di Firenze. Dal Vocabolario del fiorentino contemporaneo, Firenze, Accademia della Crusca 2012.

*Neri Binazzi è ricercatore in Linguistica italiana presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, dove si è laureato in Dialettologia italiana e dove ora insegna Sociolinguistica italiana. La lunga esperienza come coordinatore, per l'Accademia della Crusca, del progetto Vocabolario del fiorentino contemporaneo ha costituito il riferimento dei suoi studi sul comportamento lessicale come rilevatore del senso di appartenenza linguistica.