di Nicola De Blasi*

Il Dizionario etimologico storico napoletano ha l'obiettivo di documentare e illustrare la storia e l'etimologia delle parole, lungo un arco di circa sette secoli; la continuità nel tempo e la consistenza della documentazione permettono di seguire lo svolgimento del napoletano, nelle sue variazioni e nelle sue persistenze.

Dal latino medievale ai video in rete

Tra i primissimi esempi di uso letterario del napoletano figura la Lettera di Giovanni Boccaccio, datata al 1339 da Francesco Sabatini: a parte la rilevanza dell'autore, il testo è importante perché è un precoce esempio di scelta linguistica riflessa e consapevole del napoletano e perché dimostra subito che le diverse lingue non vivono in mondi separati. Nei secoli successivi sono numerosi i testi scritti in napoletano, diversificati per intenzioni degli scriventi e per generi, dalle cronache del Quattrocento al Cunto de li cunti, capolavoro di Giovan Battista Basile, dalle Poesie di Salvatore Di Giacomo al teatro di Eduardo De Filippo e di Raffaele Viviani; non dimentichiamo poi che il napoletano ha tuttora una piena vitalità sia nell'uso quotidiano, sia in una varia produzione artistica che va dal cinema alle serie televisive, fino ai video in rete. Insomma il Dizionario, in preparazione presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Napoli "Federico II" tra le attività del Centro di ricerca interuniversitario di lessicografia "Le Italie" a cui partecipano anche l'Università di Napoli "L'Orientale" e l'Università di Salerno, potrà fondarsi su un ampio corpus di testi, che si allarga anche a una serie di documenti di latino medievale, a testi letterari e documentari cinquecenteschi e successivi che, pur essendo scritti in italiano, sono spesso interessanti per i riferimenti alla cultura materiale, nonché a una tradizione lessicografica risalente al Cinquecento.

Le concrete attestazioni

Per l'ampiezza del corpus sarà possibile seguire le concrete attestazioni del lessico, segnalando sia i prestiti, sia le parole documentate dai testi ma ormai uscite dall'uso. In ogni voce del Dizionario si indicheranno innanzi tutto le forme, i significati e le diverse attestazioni (con citazioni); la seconda parte della voce comprenderà un commento storico e una proposta etimologica (per alcune voci cfr. Nicola De Blasi - Francesco Montuori, Storia di parole tra la Sicilia e Napoli, in «Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani», 23, 2012, pp. 165-184).

Scugnizzo non excuneat

L'etimologia, com'è noto, suscita una diffusa curiosità ben al di là dell'ambito degli studi linguistici, perciò è opportuno sottolineare un aspetto noto agli specialisti, ma spesso da altri trascurato: un'etimologia può essere proposta solo sulla base di dati storici accertati. Solo così si può evitare di dare credito a ipotesi non suffragate dalla documentazione esistente. Perciò, per ogni parola studiata, è importante indicare una datazione. Si legge spesso, per esempio, che scugnizzo 'ragazzino vivace' deriva dal verbo latino excuneare, ma l'attestazione più antica della parola si trova in una lista di voci della malavita raccolte nel 1888; al di fuori del gergo, la parola è poi usata per la prima volta nelle poesie di Ferdinando Russo 'E scugnizze (dell'inizio del 1897); poco dopo l'antropologo Abele De Blasio usa la parola nella seconda edizione di un suo libro sulla camorra (della primavera del 1897), ma non nella prima, che è dei primissimi mesi del 1897. Se scugnizzo è in uso solo dalla fine dell'Ottocento, non si può pensare a una diretta derivazione dal latino, perché non è credibile che gli autori e i lessicografi abbiano trascurato la parola per tanti secoli. La datazione fa dunque pensare che sia un neologismo ottocentesco, forse un adattamento di parole di altri dialetti, a loro volta probabilmente derivate dal latino.

Picciotto nel Cinquecento

Allo stesso modo per coviglia 'semifreddo' si può pensare a una derivazione dallo spagnolo cubillo 'secchiello per tenere in fresco le bottiglie o altro', solo dopo aver accertato che già nel Seicento a Napoli certe formelle usate dai pasticcieri erano chiamate cubiglietti. Attraverso la datazione si modificano anche idee correnti sulla storia di alcune parole: per esempio è diffusa la convinzione che la parola picciotto sia arrivata dalla Sicilia a Napoli e altrove dopo l'Unità d'Italia: invece sappiamo che picciotto è già presente a Napoli nel Cinquecento e nelle opere secentesche di Giulio Cesare Cortese.

Lo strano Neapolitan dell’Unesco

Un Dizionario rappresenta inoltre l'occasione per sottolineare anche altri aspetti. Per il versante geografico è opportuno notare che questo Dizionario dà conto della varietà linguistica di Napoli, poiché le varietà linguistiche di altre aree campane e meridionali non rientrano sotto la denominazione di «Napoletano», diversamente da convinzioni circolanti, ma infondate, che trovano perfino un singolare avallo da parte dell'Unesco. Nel sito di questa organizzazione (http://www.unesco.org/languages-atlas/) infatti il Neapolitan è impropriamente presentato come equivalente del cosiddetto South Italian, che sarebbe (ma non è) la lingua di sette milioni e mezzo di parlanti in «Campania, Lucania (Basilicata), Abruzzi (Abruzzo), Molise, northern Calabria, northern and central Apulia (Puglia), southern Lazio and Marche as well as easternmost Umbria». Tale affermazione, inaccettabile per i linguisti italiani, può diventare purtroppo un punto di riferimento per gli utenti della rete.

Non c’è decadenza

Per gli stessi utenti e per il pubblico più vasto è anche utile chiarire che un dizionario documenta gli usi noti di una lingua, ma non può essere un punto di riferimento normativo: perciò da questo Dizionario non ci si può attendere che imponga come si debba parlare e scrivere il napoletano. Si aggiunga infine che i cambiamenti di una lingua non vanno trattati come manifestazione di corruzione rispetto a un eventuale uso passato, ritenuto puro e incorrotto. Proprio la storia e il Dizionario storico dimostrano anzi che il napoletano ha subito nel tempo innovazioni, senza che ciò comportasse corruzione o decadenza.

*Nicola De Blasi è professore ordinario di Storia della lingua italiana all'Università di Napoli "Federico II", Socio corrispondente dell'Accademia della Crusca, componente del Direttivo della Società Napoletana di Storia Patria. Tra i suoi lavori recenti i libri Geografia e storia dell'italiano regionale (Il Mulino, 2014), Storia linguistica di Napoli (Carocci, 2012) e, con altri autori, il Vocabolario sociale (Napoli, Gesco, 2014) e il Dizionario dei personaggi di Eduardo (Osanna, 2014). _H_a collaborato a un'edizione commentata de I promessi sposi (BUR-Adi, 2014). Ha curato con altri il volume I dialetti italiani. Storia struttura uso (Utet, 2002). Ha pubblicato edizioni critiche di testi di diverse epoche: il trecentesco Libro de la destructione de Troya, Lo gliommero napoletano "Licinio se 'l mio nzegno" di Sannazaro, 'E scugnizze di Ferdinando Russo, 'O Funneco verde di Salvatore Di Giacomo e (con Paola Quarenghi) il Teatro di Eduardo De Filippo.

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