di Mirko Tavosanis*

L’avvento della stampa è stato definito come “rivoluzione inavvertita”. L’avvento dei computer è stato, al contrario, una rivoluzione avvertita ed esaltata a ogni passo. Come punto di riferimento, si può indicare il 3 gennaio 1983: la data in cui il settimanale americano Time presentò sulla propria copertina, al posto del tradizionale “uomo dell’anno”, la “macchina dell’anno”. Il personal computer, appunto, che veniva spesso esaltato come un irresistibile portatore di cambiamenti.

Questo arrivo dell’informatica è stato descritto anche come una “terza rivoluzione industriale”. In retrospettiva, i toni vanno probabilmente smorzati. L’informatica ha sì portato a cambiamenti, ma non sembra aver prodotto, per esempio, le trasformazioni della prima e, soprattutto, della seconda rivoluzione industriale – quella cioè che ha dato forma al mondo moderno, con la diffusione dell’elettricità e dei motori a combustione interna.

A guardare indietro, quindi, l’entusiasmo di quel periodo sconcerta da diversi punti di vista. I personal computer del tempo erano ancora scomodi e costosissimi scatoloni, difficili da usare e con molti limiti pratici. Inoltre, prima dell’avvento di Internet, potevano servire fondamentalmente a due scopi: a giocare o a svolgere lavoro d’ufficio, specialmente come sostituto della macchina da scrivere. Il loro uso come strumento autonomo di comunicazione era ancora in buona parte di là da venire. Tuttavia, almeno a sentire i diretti interessati, almeno in un caso la diffusione dei computer è stata davvero rivoluzionaria: presso gli scrittori.

Gli scrittori e il computer

Un recente libro di Matthew Kirschenbaum, Track Changes, fornisce un quadro molto dettagliato del modo in cui gli scrittori hanno adottato il personal computer e la videoscrittura nel mondo di lingua inglese tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Alla base si trova una domanda che, nonostante le ricerche, non ha ancora una risposta certa: chi è stato il primo a scrivere un romanzo interamente al computer?

Kirschenbaum fornisce alcune ipotesi in merito al possibile detentore di questo primato, ma il suo libro è interessante soprattutto perché documenta in dettaglio il processo di diffusione: quali scrittori hanno comprato e usato computer, quando, e di che tipo, e per farci che cosa. La lista dei nomi comprende rispettabili figure della letteratura tradizionale, come Philip Roth e John Updike, ma include anche molti scrittori di genere, e in particolare gli scrittori di fantascienza, compresi nomi poco noti ai non addetti ai lavori, da Jerry Pournelle a Barry Longyear. Inoltre, l’atteggiamento con cui veniva accolta la novità era molto in linea con le aspettative utopistiche: in alcuni casi l’arrivo del computer suscitò un vero entusiasmo. Interi settori del mondo della letteratura adottarono in quegli anni il computer con il fervore con cui avrebbero potuto convertirsi a una nuova religione.

La varietà degli esiti

Kirschenbaum ha il vantaggio di poter giudicare le cose con il senno di poi. Lo stesso argomento era stato però preso in esame, in Italia, da Domenico Fiormonte già all’inizio degli anni Novanta. Il lavoro di Fiormonte ha portato a un sito, Digital Variants: ospitato dall’Università di Edimburgo, in linea ormai da vent’anni, questo spazio mostra esempi di lavoro al computer in prospettiva internazionale e con ampio spazio dedicato agli scrittori italiani. Gli esempi riportati coprono quindi nomi come Vincenzo Cerami, Valerio Magrelli, Francesca Sanvitale e Roberto Vacca.

Una parte dello stesso lavoro è poi confluita in un libro, Scrittura e filologia nell’era digitale. Qui Fiormonte, accanto a un esame della situazione dal punto di vista teorico, prova a categorizzare gli atteggiamenti da lui riscontrati tra gli scrittori all’inizio del suo lavoro, nei primi anni Novanta. I personaggi vengono divisi in quattro categorie: accanto agli “entusiasti” che abbiamo già visto, e di cui il rappresentante più illustre è stato forse Umberto Eco, compaiono quindi i “pragmatici” (come Roberto Vacca), gli “scettico-pessimisti” (come, in parte, Calvino o Fortini) e i “disertori”, che hanno provato il computer ma dopo un po’ lo hanno abbandonato.

Del resto, come mostra più in dettaglio Kirschenbaum, anche chi adotta il computer lo fa in modi estremamente diversificati. C’è chi fa usare il computer solo ai collaboratori e chi preferisce operare in prima persona; c’è chi lo usa per rivedere a fondo i testi e c’è chi lo usa per scrivere di getto senza preoccuparsi troppo delle imperfezioni. Più radicalmente, il computer è solo una delle possibilità effettivamente usate. Tra gli scrittori, oggi, c’è chi lavora esclusivamente su macchine da scrivere manuali; c’è chi detta; c’è chi scrive solo a mano e con penne stilografiche; e così via. L’esame delle situazioni reali smentisce l’idea che il mondo sia entrato in una specie di “civiltà digitale”. La situazione è decisamente più complessa e può essere descritta solo con gli strumenti dello storico.

Gli effetti linguistici

Si è spesso parlato di un influsso del computer sul linguaggio, e gli scrittori stessi, così come sono stati studiati da Kirschenbaum e Fiormonte, hanno le proprie forti (e contraddittorie) opinioni in proposito. Alcuni dicono che l’uso del computer li ha spinti a rivedere meglio i testi, altri che invece sono stati invogliati a scrivere in modo più trascurato…

Ma, nella pratica, chi riesce oggi a capire quali dei romanzi di Stephen King sono stati scritti con una macchina da scrivere tradizionale e quali con un computer? La lingua dei professionisti della scrittura non sembra aver risentito dell’innovazione tecnologica. E, guardando le cose nell’altro verso, linguisti come Lorenzo Renzi hanno potuto descrivere l’“italiano in movimento” degli ultimi decenni senza fare in pratica riferimenti alla scrittura al computer.

Quanto ha pesato quindi la videoscrittura degli anni Ottanta e Novanta sulle trasformazioni complessive della lingua italiana? In mancanza di studi dedicati, è obbligatorio dire che non abbiamo informazioni decisive in un senso o nell’altro, ma tutto ciò che sappiamo indirizza in un senso conservativo. Una buona ipotesi di lavoro potrebbe quindi essere: “l’avvento del computer non ha avuto alcun effetto verificabile sulla lingua”. Con la diffusione della comunicazione elettronica di massa le cose andranno in maniera diversa.

Letture consigliate

Domenico Fiormonte, Scrittura e filologia nell’era digitale, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.

Matthew G. Kirschenbaum, Track Changes. A Literary History of Word Processing, Belknap Press, Cambridge, Massachusetts, 2016.

Lorenzo Renzi, Come cambia la lingua. L’italiano in movimento, Bologna, il Mulino, 2012.

Mirko Tavosanis, L’italiano del web, Roma, Carocci, 2011.

*Mirko Tavosanis (Karlsruhe, 1968) è professore associato di Linguistica italiana all’Università di Pisa. Dal 2011 al 2016 è stato direttore del Consorzio interuniversitario ICoN per la diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo. Nel 2011 ha pubblicato L’italiano del web (Roma, Carocci). Nel 2002 ha pubblicato un’edizione del manoscritto autografo delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo. Dal 2003 insegna nei corsi di studio in Informatica umanistica dell’Università di Pisa. Il suo blog personale è Linguaggio e scrittura.

Immagine: Mansfeld Computer MPC4 1990, Eisleben

Crediti immagine: Dr. Bernd Gross [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)]

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata