di Gianluca Giansante*
Su Berlusconi si è scritto tutto e - in misura altrettanto copiosa - il suo contrario. Lo stesso può dirsi rispetto alla sua comunicazione politica, che è stata oggetto di analisi tanto numerose quanto discordanti nel corso di quasi venti anni di carriera politica.
Con il suo nuovo, problematico, ritorno in campo, molte cose sono cambiate. È cambiato, radicalmente, lo scenario politico complessivo, appare mutata la credibilità del leader nei confronti del proprio elettorato, la sintonia con il gruppo dirigente e perfino con la base dei militanti. I retroscena giornalistici ci dicono che anche la tenuta fisica, caratteristica essenziale per il successo di un leader politico, è venuta meno.
Tuttavia ci sembra utile soffermarci su alcune caratteristiche dell’efficacia del suo discorso politico, che lo rendono comunque interessante per un’analisi linguistica, a dispetto della diminuzione del suo appeal elettorale. Due temi mi sembrano, più di altri, meritevoli di attenzione.
Perché la “pressione fiscale” è berlusconiana
Da qualche anno Silvio Berlusconi è solito parlare di pressione fiscale quando si riferisce alle tasse. Non è un’espressione neutra ma è portatrice di un punto di vista molto netto sulle tasse, quello della destra. È quindi un’espressione che i politici di sinistra dovrebbero accuratamente evitare.
Per capire perché dobbiamo comprendere l’importanza della metafora, che è fondamentale per chiunque si occupi di politica o di comunicazione.
È un’arma potentissima e, come tutti gli strumenti del genere, è a doppio taglio: non sapendola maneggiare, ci si può far male.
L’espressione “pressione fiscale” è chiaramente una metafora, che unisce un termine concreto, la pressione, il peso, a un elemento astratto, il fisco, la gestione delle entrate pubbliche.
Usa un concetto di cui tutti abbiamo fatto esperienza, l’essere gravati da un peso, per alludere a un concetto più in alto nella scala dell’astrazione, le tasse.
È una metafora che sottolinea alcuni aspetti del pagare le tasse: il fatto che si tratta di un sacrificio, di un gravame.
Ne occulta tuttavia altri, per esempio il fatto che se – mentre sto scrivendo questo testo – mi sentissi male, un’ambulanza verrebbe a prendermi e mi porterebbe al pronto soccorso dove sarei curato.
Tutto questo grazie alle tasse, che sono impiegate anche – per fare un altro esempio – per permettere a tutti i bambini di avere un’istruzione gratuita, quale che sia la loro estrazione sociale o culturale. Tutto questo viene occultato dalla locuzione pressione fiscale.
Non è dunque un’espressione neutra ma è portatrice di un punto di vista molto netto sulle tasse, quello della destra, che vede la tassazione come un fardello e chi le elimina come l’eroe della storia.
Continuando a ripeterla ad ogni apparizione televisiva, Berlusconi e i suoi l’hanno fatta entrare nel lessico di uso comune: oggi la utilizzano giornalisti, osservatori e studiosi, ignari della sua funzione partigiana.
La usano anche gli esponenti del centrosinistra che, così facendo, promuovono un punto di vista a loro avverso sulle tasse e sull’economia. In questo senso conoscere il potere della metafora può fare la differenza.
L’espressione, peraltro, non è un’invenzione originale di Berlusconi, si tratta di un calco ben fatto dall’espressione inglese tax relief, “sgravi fiscali”, coniata e diffusa dai conservatori americani e presto entrata nel lessico politico quotidiano, come ha notato il linguista americano George Lakoff, nel suo “non pensare all’elefante”.
Storie e metastorie nel discorso berlusconiano
Per rendere più chiari i passaggi chiave della propria narrazione, Berlusconi ricorre all’uso di “metastorie”, storie nella storia, che rendono più intellegibile e concreto il senso di quanto racconta.
Lo fa ad esempio nella campagna del 2008, per mostrare in maniera tangibile come la “tragedia dei rifiuti di Napoli” si ripercuota negativamente sull’economia della città e del Paese.
In quel caso racconta ad ogni apparizione tv o nei suoi interventi dal vivo aneddoti come questi:
«i_o ho avuto una telefonata di un mio collega primo ministro che mi ha detto scherzando: “stai lavorando?”. E io: “sì”. “Ma hai la mascherina sul naso e sulla bocca?”, e poi si è scusato capendo di avermi offeso, eppure questa è l’impressione che hanno, è l’immagine che abbiamo_».
«Un amico medico è stato ad un convegno medico, è tornato, direi, veramente disperato, dicendo «mi hanno preso in giro tutti! Tutti i colleghi che incontravo mi domandavano qualcosa a riguardo», e questa è l’Italia oggi, dobbiamo esserne consapevoli».
Tutte hanno per oggetto le conseguenze della vicenda dei rifiuti di Napoli, ovvero riportano a un livello concreto, quotidiano, semplice da comprendere, le conseguenze sull’economia e sull’immagine dell’Italia.
Sull’utilizzo di questo strumento comunicativo possiamo rifarci a quanto Berlusconi stesso dice in varie occasioni. Come racconta uno dei venditori di Publitalia, citato da Alexander Stille nel suo Citizen Berlusconi: «Quando volete far passare un’idea, spiegava Berlusconi, inventatevi un aneddoto o una citazione e attribuiteli a una persona famosa».
Un’altra conferma di tale scelta linguistica la riportano Corrias, Gramellini e Maltese in 1994, Colpo grosso ed è contenuta in una dichiarazione di Berlusconi: «La gente è di una credulità totale, beve le citazioni in un modo incredibile».
Sulle ragioni di questa scelta si sofferma in quest’intervista citata da D’Anna e Moncalvo nell’orma introvabile Berlusconi in concert:
«Quando ho cominciato a fare televisione, nessuno mi credeva e allora io raccontavo le mie convinzioni sotto forma di aneddoto attribuendo l’origine e la paternità a qualche personaggio americano. In questo modo chi mi ascoltava restava a bocca asciutta e dentro di sé certamente pensava: “Be’, se l’hanno detto gli americani…”».
Queste considerazioni ci testimoniano la consapevolezza nell’utilizzo dello strumento narrativo applicato alla politica e ancora prima alla sua esperienza imprenditoriale ma non ci chiariscono le ragioni linguistiche dietro questa abitudine.
Perché Berlusconi ricorre così spesso alle storie? Non è una specificità di Berlusconi, la ricerca di un filo narrativo nella comunicazione politica e aziendale è una tendenza in forte crescita.
Le storie, infatti, hanno successo perché portano temi astratti a un livello concreto, permettendo di superare le soglie di percezione e attenzione selettiva del pubblico televisivo. In sintesi, vengono ascoltate più volentieri e ricordate meglio. Inoltre permettono un coinvolgimento emozionale dello spettatore, che difficilmente una tabella sull’andamento del mercato dell’auto potrebbe provocare. Per questo sono particolarmente efficaci per costruire consenso politico, soprattutto in campagna elettorale.
Letture consigliate
Bolasco, S., Giuliano, L., Galli De’ Paratesi, N., 2006, Parole in libertà. Un'analisi statistica e linguistica dei discorsi di Berlusconi, Manifestolibri, Roma.
Corrias, P., Gramellini, M., Maltese, C., 1997, 1994: Colpo Grosso. Baldini & Castoldi, Milano.
D’Anna, S., Moncalvo, G., 1994, Berlusconi in concert, Otzium, Londra.
Fedel, G., 2003, Parola mia. La retorica di Silvio Berlusconi. Il Mulino. Vol. 52 (2003) n. 3, p. 463-473.
Lakoff, G., Johnson, M., 1998 (1980), Metafora e vita quotidiana, Bompiani, Milano, 1998.
Lakoff, G., 2006 (2004), Non pensare all’elefante, Fusi Orari, Roma.
Stille, A., 2006, Citizen Berlusconi. Vita e imprese. Garzanti, Milano.
*Ricercatore, formatore e consulente di comunicazione. È autore di Le parole sono importanti. I politici italiani alla prova della comunicazione (Carocci 2011). Ha svolto attività di ricerca nell’ambito del dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza Università di Roma e dell’Istituto della Enciclopedia Italiana “Treccani”. È dottore di ricerca in Linguaggi politici e comunicazione.