Il lapsus – un vocabolo latino che in genere viene tradotto con termini come errore o caduta – è stato interpretato da Freud con una chiave di lettura originale, che ha suscitato varie riflessioni sia sul versante teorico che su quello clinico. Dal punto di vista teorico il lapsus rappresenta per lui il prototipo del conflitto psichico, un meccanismo presente in tutti gli esseri umani che nasce dalla contrapposizione tra esigenze interne contrastanti, e che porta frequentemente allo sviluppo di “formazioni di compromesso”.

L’inconscio che trapela

Il padre della psicoanalisi affronta il tema del lapsus in modo sistematico nel 1901 – una fase iniziale della sua produzione teorica – analizzando i diversi modi con cui l’inconscio, intersecandosi con le opere della coscienza, trapela nella vita di ogni giorno. In questo scritto, intitolato appunto Psicopatologia della vita quotidiana (1901), Freud parte da un lavoro di R. Meringer e C. Mayer pubblicato nel 1895 sul lapsus verbale che propone alcune regole linguistiche sottostanti a questo tipo di errore, e prova a spiegarlo utilizzando una ipotesi alternativa. Inserisce infatti il lapsus verbale (Versprechen) nella più ampia categoria degli atti mancati (Fehlleistungen), un insieme particolare di “errori” che comprende una serie di fenomeni eterogenei: dallo smarrimento (Verlegen) alla dimenticanza (Vergessen), dal lapsus di lettura (Verlesen) a quello di ascolto (Verhören), dalla perdita (Verlieren) al lapsus di scrittura (Verschreiben).

Formazioni di compromesso

Questi atti mancati sono considerati come il frutto di una disattenzione e vengono in genere attribuiti al semplice caso o al massimo ad innocue associazioni linguistiche, ma secondo Freud costituirebbero l’espressione di un meccanismo specifico, e sarebbero dotati di un senso ben preciso. Per comprenderli bisogna partire dalla sua concezione dell’Inconscio come un luogo popolato da contenuti rimossi (ai quali cioè è stato rifiutato l’accesso al sistema preconscio-cosciente), che tentano continuamente di ritornare nella coscienza. Poiché tali contenuti sarebbero ostacolati in questo processo dalla censura, Freud ipotizza che cerchino di riemergere confondendosi con il materiale cosciente; in tal modo darebbero luogo a delle formazioni di compromesso, quali i sintomi nevrotici, i sogni e gli stessi atti mancati (J. Laplanche e J.-B. Pontalis).

Atti mancati, ma molto determinati

Pertanto, se guardiamo questi ultimi dal punto di vista della coscienza li possiamo giudicare come degli errori, delle mancanze, come degli “atti” coscienti che non sono stati capaci di realizzarsi in modo corretto, che appunto sono “mancati”, se invece li consideriamo dal punto di vista dell’inconscio dobbiamo ricrederci, e riconoscere che siamo di fronte a delle intenzioni inconsapevoli molto determinate, che in un modo o nell’altro sono state in grado di manifestarsi al livello della coscienza, e che quindi in quest’ottica costituiscono degli “atti” – almeno parzialmente – “riusciti”. Che gli atti mancati non siano delle semplici omissioni, ma che rappresentino l’espressione di un lavoro dell’inconscio, appare ancora più chiaro considerando le origini del termine usato in tedesco da Freud: la parola Fehlleistung è un neologismo dal lui coniato che combina due termini – fehl (‘inopportuno, fuori luogo’) e Leistung (‘risultato di un lavoro, prestazione’) – ed evoca così un’azione compiuta, il cui esito è inopportuno e indesiderato. È inoltre da notare che quasi tutti i vocaboli tedeschi inclusi nella categoria degli atti mancati sono accomunati in un medesimo gruppo semantico dal fatto di iniziare con Ver-, un prefisso che evoca l’idea del mutamento, della trasformazione, e anche questa caratteristica contribuisce a ricondurli ad una origine comune (S. Freud 1915-1917).

Tra normalità e disturbo psichico

Se da un lato il lapsus verbale e più in generale l’insieme degli atti mancati non sono considerati espressione di patologia, d’altro canto sono caratterizzati dalla presenza del conflitto, un meccanismo ubiquitario che secondo la psicoanalisi, pur non essendo alla base di tutte le manifestazioni psicopatologiche, ne spiega la maggior parte. Le forme in cui il conflitto può declinarsi sono numerose e comprendono una vasta gamma di fenomeni che vanno dall’estremo della “normalità”, in cui si presenta appunto sotto forma di un innocuo lapsus, per arrivare a quello opposto, in cui si trovano invece disturbi psichici come ad esempio la “nevrosi ossessiva” o l’“isteria”. Emerge così uno degli aspetti più affascinanti e al tempo stesso più criticati della psicoanalisi: la tendenza ad individuare dei meccanismi in comune tra la patologia e la normalità, e a rendere così ancora più sfumati i confini che le dividono.

“Negazionisti” contro “fanatici”

Dal punto di vista clinico il lapsus verbale è considerato nei manuali di tecnica psicoanalitica come «una palestra in cui è possibile esercitare in forma semplice e convincente la psicoanalisi», in quanto la sua interpretazione è un compito «semplice, spesso divertente, e utile» (A. A. Semi 1988). A mio parere però l’approccio al lapsus rappresenta anche un importante banco di prova per gli psichiatri e gli psicoterapeuti. Ci sono infatti da un lato quelli che “negano” l’esistenza dell’inconscio, che non sono interessati a cercare un significato alle sue manifestazioni indirette (come per esempio gli atti mancati o il sogno), e che si privano così di una preziosa chiave di lettura che può fare emergere del nuovo materiale sul funzionamento psichico del paziente; dall’altro lato invece c’è chi, in preda ad un “fanatismo interpretativo” – una malattia infantile della psicoanalisi –, usa lo strumento della interpretazione in modo eccessivo, senza quella prudenza e quella umiltà indispensabili per effettuare un intervento clinicamente intelligente.

A rischio di prigione

Potremmo concludere queste riflessioni considerando la lettura freudiana del lapsus come uno strumento, che meglio di altri ci permette di individuare alcuni aspetti nascosti della realtà psichica, ma che d’altro canto più di questi ci espone al rischio di rimanere imprigionati nelle nostre costruzioni teoriche. Per affrontare adeguatamente il lapsus forse ci può essere di aiuto la metafora dello “scivolone”, uno degli altri significati espressi dal termine latino. In genere lo scivolone è un evento con delle cause banali e degli effetti per lo più insignificanti (come il classico scivolone su una buccia di banana), che generalmente non richiede altro intervento al di fuori di un sorriso, ma che talvolta può indicarci, se accompagnato da altri segni, la presenza di una sottostante disfunzione (pensiamo all’esordio di una patologia neuro-muscolare), diventando quindi meritevole di un approfondimento.

Testi citati

S. Freud, Psicopatologia della vita quotidiana (1901), Bollati Boringhieri, Opere, vol. IV.

R. Meringer e C. Mayer, Versprechen und Verlesen: ein psychologisch-linguistische Studie (Vienna 1985), citato in S. Freud (1901).

J. Laplanche e J.-B. Pontalis, Enciclopedia della psicanalisi (1984), Biblioteca Universale Laterza.

Il nuovo dizionario di Tedesco, Zanichelli (2009).

S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi (1915-1917), Bollati Boringhieri, Opere, vol VIII (p. 209).

A. A. Semi (a cura di), Trattato di Psicoanalisi (1988), Raffaello Cortina Editore.

L. Castiglioni e S. Mariotti, Vocabolario della lingua latina (1996), Loescher Editore.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata