di Massimo Cerruti*

Chi parla dialetto, con chi, dove e quando, nell’Italia contemporanea? Per rispondere a questa domanda si può partire con l’esaminare gli esiti del sondaggio nazionale più recente sul tema, condotto dall’ISTAT nel 2006 (liberamente consultabile in rete: http://www.istat.it/ ). Confrontandoli con quelli di inchieste precedenti, si rileva innanzitutto, a fronte di un generale consolidamento dell’uso dell’italiano (nel 2006, dichiara di parlare solo o prevalentemente italiano in famiglia il 45,5% degli intervistati, con amici il 48,9%, con estranei il 72,8%), una diminuzione dell’uso esclusivo del dialetto. Diminuisce cioè la percentuale di coloro che dichiarano di usare solo o prevalentemente il dialetto (nel 2006, in famiglia il 26%, con amici il 13,2%, con estranei il 5,4%). Tale decremento è tuttavia parzialmente compensato dall’incremento percentuale di chi dichiara di usare il dialetto alternato o frammisto all’italiano (nel 2006, in famiglia il 32,5%, con amici il 32,8%, con estranei il 19%). Si nota inoltre un lieve rallentamento nella crescita dell’uso esclusivo dell’italiano.

Alternato o frammisto all’italiano

L’uso del dialetto differisce poi in relazione alle principali variabili sociali: età, istruzione, sesso (che risulta però la variabile meno influente). Si dimostrano tipicamente più propensi all’uso del dialetto gli anziani, gli incolti, gli uomini; meno i giovani, i colti e le donne. Si riscontrano altresì differenze evidenti in relazione ai domini d’uso. A parità di altre condizioni, il dialetto è usato soltanto raramente con gli estranei e in situazioni pubbliche, sostanzialmente non ricorre in situazioni molto formali, è adoperato di preferenza in famiglia (specie da parte degli anziani) e con amici. Il dialetto, infine, può ritenersi tendenzialmente più vitale in provincia e meno in ambiente urbano.

Se questo è il quadro generale, occorre però sottolineare l’esistenza di forti diversità da regione a regione. Il Nord-Ovest, insieme all’Italia Centrale (andrebbero però considerate a sé le situazioni peculiari della Toscana e di parte del Lazio, in cui la differenza fra italiano e dialetto è sensibilmente meno spiccata che nelle altre regioni), conosce le percentuali più basse di impiego del dialetto, sia in famiglia sia con amici sia con estranei. Le aree più dialettofone sono invece il Sud, le Isole e il Nord-Est; il Veneto, in particolare, si rivela la regione d’Italia in cui l’uso del dialetto è ancor oggi più diffuso.

A ciò si aggiunga che l’uso alternato o frammisto di italiano e dialetto si dimostra in costante crescita in tutte le varie realtà regionali e, rispetto all’uso esclusivo di uno dei due codici, presenta differenze meno sensibili in relazione sia a variabili sociali sia ai diversi domini d’uso.

Arricchimento, non impedimento

Rispetto a venti o trenta anni or sono, è poi profondamente cambiato l’atteggiamento della comunità parlante nei confronti del dialetto. Anche per effetto della diffusione sociale ormai fondamentalmente generalizzata dell’istruzione scolastica e della lingua nazionale, oggi il dialetto non è più sentito come la varietà di lingua dei ceti bassi, simbolo di ignoranza e veicolo di svantaggio o esclusione sociale; gli atteggiamenti nei suoi confronti, almeno in molte regioni, non sono più stigmatizzanti com’era ancora pochi decenni or sono. Sapere e usare un dialetto, oggi, è spesso valutato positivamente; rappresenta una risorsa comunicativa in più nel repertorio individuale, a disposizione accanto all’italiano, di cui servirsi quando occorre e specie in virtù del suo potenziale espressivo. Un arricchimento, insomma, e non più un impedimento.

Dialetto per scherzare, sul web

Connesso con questo cambiamento generale di atteggiamento è il fatto che il dialetto tenda ora a comparire in domini e ambiti d’uso diversi rispetto al passato: tra gli altri, nelle insegne di esercizi commerciali, nella musica giovanile, e marginalmente nei fumetti, nell’enigmistica, nella pubblicità nazionale, ma soprattutto nella comunicazione mediata dal computer. La presenza del dialetto nel web (escludendo i veri e propri siti dialettali, per lo più opera di élites di cultori del dialetto) si manifesta prevalentemente nell’uso alternato o frammisto all’italiano e soddisfa spesso funzioni ludico-espressive; nondimeno, in certi casi ha funzione primariamente referenziale e in altri principalmente valore simbolico, di espressione di un’identità locale e culturale. La comunicazione mediata dal computer, è bene sottolinearlo, rappresenta un nuovo ambito non soltanto d’uso ma, più specificamente, di scrittura del dialetto (con tutte le implicazioni che ne conseguono: le funzioni ludico-espressive sopra menzionate, ad esempio, e specie per certi dialetti, sono in parte connesse proprio allo scrivere una lingua che non si è abituati né a vedere scritta né tanto meno a scrivere).

Dai nonni ai giovani

L’uso scritto del dialetto, che non sia per scopi letterari, si riscontra altrimenti quasi esclusivamente presso attivisti di movimenti per la promozione di dialetti locali, talvolta con rivendicazioni ideologico-politiche antiitaliane. Ancorché sporadica, la presenza del dialetto nella comunicazione spontanea in rete è inoltre di particolare interesse poiché coinvolge prevalentemente le giovani generazioni, quelle meno propense alla dialettofonia e allo stesso tempo quelle che giocano il ruolo più cruciale per il futuro del dialetto, e più in generale per le tendenze in atto nella situazione contemporanea. L’acquisizione del dialetto da parte delle giovani generazioni, va ricordato, è avvenuta nella maggior parte dei casi non a livello di lingua materna ma, sia pure in modo frammentario e incompleto, al di fuori del canale generazionale diretto: una funzione importante hanno esercitato i nonni e più in generale l’ambiente circostante, nel quale il dialetto era (ed è ancora) diffusamente presente.

Schiscià nel sit

Il dialetto è soggetto inoltre all’influenza della lingua di prestigio con cui è stato per secoli in contatto. Il processo di italianizzazione, di lunga durata, ha iniziato a intaccare la fonetica e la morfosintassi dei dialetti italiani già nel Seicento, per poi arrivare a toccare più vistosamente il lessico. Nell’ultimo cinquantennio, l’influsso dell’italiano sul dialetto pare non avanzare più nelle strutture del sistema linguistico (specie nella morfosintassi), ma progredire più rapidamente e cospicuamente nel lessico. L’apporto lessicale massiccio è certamente da ricondursi al moltiplicarsi di sfere semantiche (quelle della società, tecnica ed economia moderne) per le quali i dialetti mancavano di risorse lessicali proprie (e l’italiano stesso è spesso debitore dell’inglese; v. ad es. per “sito (internet)” il piemontese e lombardo sit, il genovese scitu,il siciliano situ; o i calchi semantici con valore di “cliccare”: sgnaché, lett.“schiacciare”, in piemontese;schiscià, lett.“premere”, in lombardo; piché, lett.“battere, picchiare”, in genovese; ecc.).

Aggiuntivo e parallelo

Il dialetto, in conclusione, non mostra segnali evidenti di imminente estinzione, si mantiene anzi stabilmente, soprattutto in alcune regioni, presso certe classi di parlanti e domini d’uso; resiste all’influsso strutturale dell’italiano; e, benché non più indispensabile per i bisogni comunicativi della contemporaneità, risulta funzionale e vitale come varietà aggiuntiva, parallela alla lingua nazionale. Anche in virtù del mutato atteggiamento sociale nei suoi confronti, il dialetto, specie se alternato o frammisto all’italiano, compare anche in ambiti d’uso per i quali fino a qualche tempo fa ne era difficilmente prevedibile l’impiego. Proprio l’uso alternato con l’italiano nello stesso evento comunicativo rappresenta una delle principali tendenze della situazione sociolinguistica contemporanea e pare configurarsi quale la principale forma di vita futura del dialetto.

Per saperne di più:

Su questi temi, si vedano: M. D’Agostino, Sociolinguistica dell’Italia contemporanea, il Mulino, Bologna 2007; G. Fiorentino, “Dialetti in rete”, in Rivista italiana di dialettologia 29, 2006, pp. 111-147; A. A. Sobrero/A. Miglietta (a c. di), Lingua e dialetto nell’Italia del Duemila, Congedo, Galatina 2006 (e in particolare, ivi, il saggio di G. Berruto, “Quale dialetto per l’Italia del Duemila? Aspetti dell’italianizzazione e risorgenze dialettali in Piemonte (e altrove)”, pp. 101-127); e la bibliografia in questi lavori contenuta.

*Massimo Cerruti è ricercatore di Glottologia e Linguistica all’Università di Torino, dove insegna Linguistica generale. Si occupa prevalentemente di sociolinguistica, linguistica delle varietà dell’italiano e linguistica del contatto, settori nei quali ha pubblicato diversi saggi in sedi nazionali e internazionali. È autore dei volumi Introduzione elementare alla scrittura accademica (con M. Cini, Laterza, Roma-Bari 2007), Strutture dell’italiano regionale (Lang, Frankfurt am Main 2009) ed Elementi di linguistica (con G. Berruto, UTET-De Agostini, Novara, in stampa), oltre che di voci del Dizionario di linguistica _(a c. di G. Beccaria, Einaudi, Torino 2004) e dell’_Enciclopedia dell’italiano (a c. di R. Simone, Treccani, Roma, in stampa).