Si può “giocare con le parole”? Sì, si può, come hanno mostrato Simone Fornara e Francesco Giudici in un recente, agile saggio intitolato proprio così e pubblicato da Carocci. Anzi, verrebbe da dire: si “deve” giocare con le parole. In questo Speciale, intervistato da Tamara Baris, lo afferma con grande convinzione Anthony Mollica, il fondatore della “ludolinguistica” accademica: ridere è salutare, a tutti piace giocare e lo studio di una lingua, prima o seconda, si trasforma da fatica in ginnastica intellettuale e perfino in godimento dell'animo. I giochi di parole che han fatto la fortuna della «Settimana Enigmistica», scrivono qui Fornara e Giudici, e altri giochi ancora, dai tempi dei “Draghi locopei” (1986) della maestra Ersilia Zamponi, hanno avuto un successo fuori discussione nelle aule scolastiche – anche se il riconoscimento dell'accademia ha tardato a giungere -. Dentro al gioco con le parole c'è sostanza psichica e linguistica, come scrive Luigi Spagnolo, rivisitando il motto di spirito secondo Freud. E c'è una ricca e plurisecolare stratificazione di suoni, voci e significati che arte e filologia, combinate nel diletto creativo, possono far fruttare a vantaggio di tutti, come spiega Sabrina D'Alessandro (particolari delle sue opere illustrano questo Speciale). Infine – tanto è generoso il gioco! - si può “giocare” con la lingua storico-naturale sperimentando, con serietà scientifica, la traduzione di un'opera letteraria (Pinocchio) in emoji, anche tramite un lavoro aperto e condiviso in internet, e avviando la costruzione in progress di un codice a base pittografica, come spiega Francesca Chiusaroli.