Il santo calabrese d’Aosta

I cognomi più frequenti ad Aosta sono francesi, francoprovenzali o italiani? Osservando le liste di frequenze ci si meraviglierà non poco: ai primi due posti Fazari e Mammoliti, tra i primi 10 Giovinazzo, Raso e Romeo, tra i primi 50 anche Agostino, Tripodi, Furfaro, Cannatà, Sergi, Carere e Mafrica: tutti cognomi della provincia di Reggio Calabria, ai quali si aggiungono altri genericamente meridionali, come D’Agostino, Peloso, Amato, Caruso, Fonte, Addario. L’immigrazione è iniziata in maniera significativa nel periodo tra le due guerre mondiali e si è accentuata negli anni Sessanta del Novecento. Uno dei motivi economici è stata l’industria siderurgica valdostana di proporzioni imponenti: dalla Calabria sono arrivate intere colonie, in particolare da San Giorgio Morgeto, che conta una rappresentanza molto numerosa nella zona aostana di Saint-Martin-de-Corléans. La festa annuale in onore di San Giorgio e Giacomo è divenuta la più grande manifestazione popolare della città.
Del resto, si sa, l’Italia è un paese di migranti. Dal Sud al Centro-nord nel XX secolo, ma anche dal Nord al Centro-sud, dall’epoca medievale – si pensi alle comunità di parlata galloitalica, di un’area tra Piemonte e Lombardia, che nel XII secolo scesero in Sicilia – a quella contemporanea (la ripopolazione dell’Agro pontino da parte di gruppi veneti e friulani). E poi dalle montagne alle valli e dalle campagne ai centri urbani, con il recente e opposto fenomeno dello spostamento dalle metropoli ai comuni dei vari hinterland.
Di queste migrazioni rappresentano un indizio misurabile i cognomi. La cartografia di ciascun nome di famiglia offre un panorama della loro origine e diffusione: il risultato talora non lascia adito a dubbi; altre volte gli spostamenti hanno creato una distribuzione irregolare e complessa, per cui soltanto la conoscenza dei flussi demografici e quella linguistico-dialettologica possono determinare con sufficiente chiarezza l’epicentro, o i vari centri di irradiazione in casi di poligenesi, di un cognome.

Pescatori di di Ischia a Monte Argentario

Il primo indizio sul riflesso dei movimenti nei cognomi è dato dai nomi di famiglia coincidenti con toponimi o con etnici. In Italia i più diffusi risultano, in ordine di frequenza, Greco, Lombardo e Lombardi, Sorrentino, Catalano, Calabrese, Mantovani, Napolitano, Pugliese, Trevisan, Pisano e Pisani, Pavan, Romagnoli, Genovese, Tarantino, Cosentino e Toscano.
La loro distribuzione a volte risulta istruttiva, altre volte dice poco. La prima considerazione è che alcune forme derivano da soprannomi che non dicono quello che sembrano dire. Il “lombardo” o “il greco” non necessariamente era qualcuno che proveniva dalla Lombardia, o dall’Italia settentrionale nel suo complesso, e dalla Grecia o in generale dall’altra sponda dell’Adriatico. Questi etnici avevano assunto valori legati al mestiere di bancario e cambiavalute il primo, di osservante di rito bizantino il secondo, e poi di ‘strozzino’ l’uno e di ‘astuto’ e infine ‘ladro’ l’altro.
Ma alcuni cognomi che possiamo definire “di provenienza” parlano chiaro. A Monte Argentario e dintorni sappiamo di un forte afflusso nei secoli scorsi da parte di marinai e pescatori dell’arcipelago napoletano. I cognomi ne sono la piena conferma: non solo all’Argentario è frequentissimo il nome di famiglia Schiano, che vale ‘ischitano’, ma numerosi sono i cognomi tipici sia del Golfo di Napoli (Procida in particolare) sia del Grossetano: alcuni di questi hanno cambiato la finale da -o in -i, assumendo cioè un tratto morfologico tipico dell’onomastica cognominale dell’Italia centrale al posto di uno meridionale, o hanno subìto altri cambiamenti: Vitiello si è trasformato in Vitelli, Giovine e Colantone in Giovani e Collantoni, Spillimpetto in Spillimbergo.

In taxi dal Molise a Roma

Roma ha esercitato il suo influsso attrattivo in varie epoche. Tra la fine del XV e la prima metà del XVI secolo, per esempio, la futura capitale fu toscanizzata; nei secoli seguenti, soprattutto per i movimenti all’interno dello Stato pontificio, accolse genti da Umbria, Marche e Lazio, dopo l’Unità d’Italia attirò i ceti medi della pubblica amministrazione che in precedenza vivevano o erano soliti emigrare a Torino; e, di nuovo, un numero crescente di cittadini dell’Italia centrale e inoltre meridionale.
Talvolta si può ricostruire anche la provenienza di ampi nuclei familiari o di categorie professionali da un singolo comune. Oggi è singolare il caso dei tassisti romani, la gran parte dei quali discende da vetturini di carrozze, che a Roma giungevano da un comune molisano, Bagnoli del Trigno, così come molti garagisti e meccanici dalla vicina Schiavi d’Abruzzo (Chieti), e vari profumieri da Sant’Elena Sannita (Isernia). Se confrontiamo i cognomi più tipici e diffusi a Bagnoli del Trigno – Bartimoccia, Ciarniello, Cimagna, Di Tosto, Ialungo, Massullo, Pallotto, Pilorusso – risultano tutti ben più numerosi a Roma che in Molise.
E al di là delle statistiche demografiche, sono proprio i nomi di famiglia a dirci in che modo si sono orientati i fenomeni migratori dal Sud verso il Centro-nord. Il confronto di frequenze e distribuzioni di cognomi regionalmente ben connotati indica che i pugliesi si sono trasferiti soprattutto a Milano e in Lombardia, i calabresi a Roma, in Piemonte e in Liguria, i siciliani nell’intero triangolo industriale nord-occidentale.
I valori assoluti dei cognomi parlano chiaro: oggi Russo, il cognome più alto per rango nel Sud d’Italia, è anche il 9º nel Lazio, l’11º in Piemonte, il 23º in Liguria e il 30º in Lombardia. Tra i cognomi meridionali, Milano registra il 3º nucleo per valore numerico di Russo, di De Luca e di Santoro, il 4º di Romano, di Greco, di Messina e di Gallo, il 6º di Esposito e di Ferrara, tutti tipici del Sud. Se prendiamo i più diffusi cognomi della Puglia, di Calò o Perrone il gruppo più numeroso risiede attualmente a Roma, che vanta il 2º nucleo per consistenza di Leo e il 5º del cognome Quarta, mentre Milano ospita il 5º nucleo per grandezza di Lorusso, primatista a Bari. Ripetiamo l’analisi con i cognomi siciliani più numerosi: la capitale registra il 3º gruppo per consistenza di Puglisi, Arena, Randazzo, Catania e Giuffrida, il 4º di Sanfilippo e il 5º di Pappalardo, Privitera e Trovato. Quanto ai più frequenti in Calabria, Roma registra il primo gruppo di Macrì (Torino il 2º, Genova il 3º); il 2º di Perri e Tripodi; il 3º di Mancuso, di Morabito e di Procopio.
Nella provincia di Latina sono invece numerosi i cognomi veneti: si tratta dei gruppi di contadini chiamati a popolare le zone bonificate dell’Agro pontino, in cui nacquero in epoca fascista i nuovi centri di Littoria (poi Latina), Pontinia, Sabaudia, Aprilia e i borghi che hanno ripreso nomi veneti (Grappa, Pasubio, Piave, Sabatino). Oggi, tra i primi 20 a Latina, spiccano Marangon, tipico di Chioggia-Ve, e Nardin, nome di famiglia veneziano; tra i primi 100 anche Salvador di Vittorio Veneto-Tv, Baretta di Anguillara Veneta-Pd, Mancin, che ha il suo massimo valore a Porto Tolle-Ro e il padovano Peruzzo.

Quei Baresi della Val Brembana

Negli spostamenti e negli incontri con parlate (e abitudini linguistiche) diverse, alcuni cognomi hanno cambiato aspetto o pronuncia. Non si allude solo alla standardizzazione italiana di voci dialettali o alla traduzione forzata di forme straniere, ma per esempio ai casi di cambiamento d’accento tonico. Il più noto, Sàlgari dal veronese Salgàri (da salix ‘salice’, attraverso un intermediario *salica suffissato con -ariu a indicare più un fitonimo collettivo che non un mestiere di chi lavorava il legno del salice), si è tramandato per iscritto e non a voce, ed è stato toscanizzato. Analogamente, del cognome Cagliari s’è perduto l’etimo, cioè la forma sincopata dal latino caligarius ‘calzolaio’ e l’analogia con il capoluogo sardo ha trasformato la voce da piana in sdrucciola. Sorprendente il cognome Barési, concentrato a Brescia e nel Bresciano: non ha alla base l’etnico di Baribensì la località Bàresi, nel comune bergamasco di Roncobello, in Val Brembana. E così si ascoltano pronunce aberranti, in particolare per influsso del tedesco sino ai primi decenni del XX secolo o per mera anglofilia, come Fùrlan ‘friulano’, Bènetton (da Benedetto + one), e Còin (‘codino’); Sàlomon e Sànson (per Salomone e Sansone), Trèvisan; Zàmparo (variante di campàro, ‘contadino’); alcuni ormai si sono ormai imposti, come Fògar ‘focolare’; Vertòva, per il toponimo bergamasco sdrucciolo, Àgnes che corrisponde ad Agnése, Sagràmola ‘sacra costruzione’, Chinnìci ‘quìndici’; Àugias da aùza ‘spilla’ e Cossìga ‘Còrsica’.
Alcune questioni di pronuncia riguardano antiche grafie che si sono cristallizzate nelle forme cognominali (e in alcuni toponimi), pur essendo scomparse dal lessico e dall’uso linguistico; un esempio tipico è rappresentato dalla [x] intervocalica che, in Sardegna e in Sicilia, rappresenta una fricativa palatale; così, nel continente la variante del diffuso Maxìa ‘magìa’ è divenuta Màscia, e Craxi, in origine tronco, ha perduto il suono palatale di Crascì (‘venditore di vini’), e Bixio è ora pronunciato con /ks/ anziché con la sibilante, Bisio.
Un altro esempio di pronuncia incerta o oscillante è fornito dalla -z finale di numerosi cognomi della Valle d’Aosta, derivanti sia da toponimi, sia da patronimici. Tale -z non corrisponde ad alcun fonema, ma a un segno distintivo che nel sec. XIV gli amministratori francesi posero accanto a quelle voci che, contrariamente alle aspettative e alle loro abitudini, nella parlata locale di tipo franco-provenzale non erano tronche ma piane. Marcoz, per esempio, era in origine Marco, e l’appunto a forma di “z” indicava che la pronuncia corretta era Màrco e non, francesamente, Marcó. I cognomi (oltre che i toponimi) di questo tipo sono nella regione numerosissimi; tra i primi per frequenza Bionaz e Vuillermoz, e poi Aguettaz, Artaz, Borettaz, Chabloz, Cornaz, Cuaz, Cuneaz, Curtaz, Diemoz, Lillaz, Lucianaz, Marguerettaz, Pasquettaz, Praz, Savioz.

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