di Manuela Manfredini*
**In principio fu Veronelli
**Se oggi, sugli scaffali delle librerie, i ghiottoni più esigenti possono scegliere il loro appetitoso Baedeker tra le tante guide ai ristoranti promosse da quotidiani e periodici (Espresso, Panorama, Sole 24 Ore, Gambero Rosso, Bell’Italia), da associazioni (Osterie d’Italia) o da singoli recensori (Gambero Rozzo di Cambi, Guida Critica&Golosa di Gatti e Massobrio), un po’ di colpa o merito ne ha Luigi Veronelli. È stato lui infatti a determinare la svolta decisiva del genere testuale “guida gastronomica”, pubblicando nel 1979 i suoi Ristoranti di Veronelli, vero e proprio punto di partenza per una nuova critica della cucina e del vino, caratterizzata da una forte impronta valutativa-edonistica più che analitico-descrittiva. Con lui, altri gastronomi come Federico U. D’Amato e Edoardo Raspelli hanno poi contribuito a segnare lo stile delle guide ai ristoranti.
**Le schede
**Le schede ai ristoranti contenute in una guida gastronomica sono simili, sul piano testuale, alle recensioni: hanno tutte una parte informativa, contenente notizie di carattere pratico (nome del locale, ubicazione, telefono, giorno di chiusura, costo indicativo di un pasto ecc.) e una parte critico-valutativa più o meno esplicita, a ricordarci che non stiamo consultando una disinteressata enciclopedia, ma una rassegna di locali che gli autori della guida ritengono conformi ai loro principi e valori in fatto di cultura del cibo e della convivialità. Il testo delle schede può essere strutturato in rubriche (Cucina, Vini, Locale), secondo il modello delle prime guide degli anni ’60 dell’Accademia della Cucina Italiana; oppure, essere continuo, sulla falsariga delle recensioni contenute nelle celebri guide dei francesi Gault e Millau, e caratterizzato da un andamento narrativo. Di solito le recensioni accolte sono positive ma se il rilievo critico è inevitabile, allora si ricorre a una sorta di galateo del dissenso fatto di attenuazioni («ottima pasta con il nero di seppia, peccato per l’eccesso di peperoncino», Gambero Rosso), che erano sconosciute a Raspelli, castigatore di toilette indecenti e carte dei vini presentate sotto plastica.
**Allocuzione
**Mentre Veronelli amava rivolgersi al lettore con il “tu”, instaurando una comunicazione di grande familiarità, di anarchica abolizione delle gerarchie allocutive («se vuoi stare sul semplice, prova un po’ la Barbera di Belveglio», Veronelli), oggi, i gastronomi preferiscono il “voi” associato a toni cortesi e sollecitamente amichevoli.
**Interpunzione e sintassi
**Nelle schede più lunghe (Osterie d’Italia, Gambero Rosso, Ristoranti dell’Espresso ecc.), abbondano marche di intonazione, parentetiche e virgolette citazionali, esclamazioni e interrogazioni. Ma è con le virgolette che le guide si sbizzarriscono: dall’uso più scontato per incorniciare una parola inconsueta, alla segnalazione di usi intensivi; dalla presa di distanza («ci pare che qualche piatto “innovativo” non sia del tutto a punto», Gambero Rosso) ad usi fortemente espressivo-metaforici («Colombo non ha rivali nella “mattanza” e lavorazione dei maiali», Veronelli), fino al ricorso immotivato e superfluo in usi traslati privi di ambiguità («Chi ama le cose buone [...] non può non essere “assalito” da una sensazione di commozione», Sole 24 Ore).
Sul piano della sintassi, lo stile nominale prevale in tutte le guide, sia per necessità di concisione, sia per il prestigio di cui gode il modello giornalistico.
L’ordine marcato delle parole, che movimentava la lingua di Veronelli, è poco sfruttato e privilegia più la facile posposizione del soggetto piuttosto che dislocazioni o frasi scisse.
**Lessico
**Il credito e la diffusione della cucina regionale hanno introdotto dialettismi nella lingua della gastronomia. Già Veronelli, alla fine degli anni ’70, li impiegava quasi sempre senza glosse. Oggi, in tutte le guide gastronomiche, i dialettismi mangerecci sono un’acquisizione stabile (tra i molti: dal sardo, le seadas e i culurgiones; dal piemontese, i tajarin; dal ligure le tomaxelle), mentre non ve n’è traccia laddove le schede descrivono il locale, con qualche eccezione nelle Osterie d’Italia (lasagnolo per mattarello). Anche in questo caso, la lingua gaddianamente espressiva di Veronelli, che non temeva di bollare certi vini come acquedipiatt («a vini cru [...] s’alternano acquedipiatt», Veronelli), non sembra far proseliti.
La lingua della gastronomia parla francese dal Settecento e nelle guide non mancano francesismi classici come soufflé, foie gras, carré, parfait, cui si aggiungono, negli ultimi anni, nipponismi (sushi, maki-sushi, sashimi) e ispanismi (i messicani tacos, enchiladas, burritos) ed altre parole di varia provenienza dovute all’accoglienza nelle guide di ristoranti etnici. Si trovano forestierismi anche nelle parti descrittive extraculinarie. Notevole, ad esempio, è la propensione al forestierismo modaiolo (must, full immersion) e al sinonimo prestigioso (petit récoltant per “piccolo produttore”) nelle guide dell’Espresso e del Sole 24 Ore.
Pochi i neologismi e d’autore: enotavola, coniato dalla guida dell’Espresso per le enoteche con cucina; mangiarbere, introdotto dal sottotitolo delle Osterie d’Italia; le onomaturgie di Davide Paolini, gastronauta “marchio registrato che indica una persona che ammette di viaggiare, anche su scomode strade provinciali, per i piaceri della tavola”, gastronautica “l’arte della cucina di qualità” e guidaiolo “utilizzatore abituale (e un po’ maniacale) delle guide gastronomiche”. Non griffati ma fondamentali i neologismi territorialità e di territorio che traducono approssimativamente il francese terroir “nostrano, nostrale”.
**Dal colloquiale al tormentone
**Se Veronelli, Raspelli e D’Amato avevano saputo sfruttare a fondola componente colloquiale e familiare della lingua, le guide pubblicate negli anni ’90 e 2000 non ne hanno raccolto il testimone. Ora si preferisce puntare sul riuso di locuzioni stereotipe o di luoghi comuni, fino alla ripresa di tormentoni televisivi, specie nelle guide redatte da giornalisti («il “lento” buono della “ciambellina de’ nonna” con crema al mistrà e il “rock” gustoso del tortino di fondente alle spezie», Espresso).
Al confine tra criterio valutativo e funzione conativa vera e propria si colloca l’aggettivazione che è volentieri enfatica: splendidi merluzzetti, dolci apprezzabilissimi, straordinari bocconcini di muggine (Gambero rosso); spettacolari semifreddi (Sole 24 Ore); accoglienza premurosissima, strepitosa tartare di tonno (Espresso). Un’aggettivazione che vira presto in eufemismo laddove si registrino mancanze o difetti (una saletta vip definita tristanzuola in Espresso), o che si fa improbabile quando prende a prestito dalla lingua dei sommelier lessico e vezzi (trenette al pesto equilibrate; avvolgente zuppa di sedano).
**Il conto, grazie
**Il modello di italiano che le guide gastronomiche seguono è, in generale, la scrittura giornalistica brillante, di commento, più che il lessico tecnico della gastronomia o dell’enologia.
Citando la lingua dei sommelier (e Veronelli, fondatore della critica gastronomica, è stato soprattutto un grande enologo), le guide ricorrono al linguaggio della musica («è il suo calendario qui a dare il “la” al menu che si modella [...] sulla qualità disponibile», Espresso); ma anche a quello dello spettacolo, del cinema, o addirittura degli annunci immobiliari («Una “bomboniera” posta all’interno delle mura cittadine», Espresso).
In questo sguardo di insieme, le differenze linguistiche tra le varie guide si sono un po’ appiattite; vale la pena ricordare, però, che ciascuna guida, con il suo stile, con le sue scelte in fatto di locali, cucine e, perché no, di “conti”, propone una particolare visione del mondo della cucina e della convivialità, anche legata ad un contesto socio-culturale di riferimento.
In bilico tra informazione e promozione, le guide gastronomiche svolgono al fondo una funzione rassicurante poiché, come scriveva Arturo Marescalchi nella Prefazione alla Guida gastronomica d’Italia del Touring Club del 1931, «col gusto e lo stomaco non si scherza».
**Guide citate
**I ristoranti di Veronelli, Milano, Rizzoli, 1978 (ma 1979 e sgg).
I Ristoranti di Panorama, Milano, Mondadori, 1975, e edd. sgg..
Guida Grand'Italia ai ristoranti tipici regionali, a cura di F. U. D’Amato, Milano, Rizzoli, 1984.
I ristoranti di Edoardo Raspelli. Roma e il Lazio, Milano, 2R Edizioni, 1983.
Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso, Roma, Gambero Rosso GRH, 2001 e edd. sgg.
Osterie d’Italia. Sussidiario del mangiarbere all’italiana, Bra, Slow Food Editore, 1990 (e edd. sgg.).
D. Paolini, I Ristoranti de Il Sole 24 Ore, Milano, Il Sole 24 Ore Libri, 1990 e edd. sgg.
Italia da Gustare. Le guide di Bell’Italia, Milano, Mondadori, 2003, 3 voll.
C. Cambi, Il gambero rozzo. Guida alle osterie e trattorie d’Italia, Roma, Newton & Compton, 2005 e edd. sgg.
P. Massobrio e M. Gatti, GuidaCriticaGolosa 2007 (Lombardia, Liguria, Valle d’Aosta), Alessandria, Comunica, 2006.
*Manuela Manfredini è professore a contratto di Linguistica Italiana presso l'Università di Genova e docente nelle scuole superiori. Si occupa di lessicologia e questioni metriche. Ha curato l’edizione del Libro delle Figurazioni Ideali di G. P. Lucini (Roma, Salerno, 2005). Dal 2003 collabora alla redazione del Sabatini Coletti. Dizionario della lingua italiana (Milano, Rcs).
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