di Rita Librandi*

In un’intervista rilasciata ad Antonio Spadaro e apparsa su «Civiltà Cattolica» (III, 2013), papa Bergoglio dichiara di non essere abituato a parlare alle masse e di preferire la conversazione per «entrare in contatto in maniera personale» con chi ha davanti (p. 450). Se si leggono, infatti, i tanti discorsi, le omelie, gli Angelus già pronunciati in così pochi mesi di pontificato non si può non osservare come papa Francesco tenda a instaurare nei modi più diversi un dialogo diretto con gli ascoltatori. A esordio dell’omelia recitata a Lampedusa nel luglio 2013, dopo essere entrato direttamente nel cuore del problema e aver rivolto un ringraziamento agli isolani per la solidarietà mostrata verso gli immigrati, crea subito un clima di amichevole complicità, ricorrendo al saluto in dialetto o’ scia’. Si tratta di un’espressione tipica degli isolani, che letteralmente significa “fiato mio, mio respiro” e che, pur divenuta famosa grazie a un festival canoro così intitolato da Claudio Baglioni, si rivolge a persone cui si è legati da affetto intimo e familiare.

Senza filtri o veli

Papa Francesco pone grande cura nella comunicazione con i fedeli e per questo motivo è stato accostato sia a Giovanni Paolo II sia, per l’affabilità delle sue parole, a Giovanni XXIII. In realtà il nuovo pontefice ha un modo personalissimo di avvicinarsi al popolo e se qualche somiglianza si volesse trovare sarebbe da cercare in papa Montini, per l’afflato poetico di alcune espressioni, la serietà dell’impegno sociale e soprattutto per la ricerca di risposte tra gli stessi fedeli. Le parole di Francesco, d’altro canto, colpiscono con efficacia inusitata e, a soli otto mesi dall’inizio del pontificato, già si sono fissate nella memoria degli ascoltatori: la spiegazione non risiede in un buon uso dei media ma nell’autenticità dei suoi gesti e nell’immediatezza con cui presenta sé stesso senza filtri o veli.

Appelli ed esortazioni

Basterà pensare al discorso che, incontrando i lavoratori di Cagliari, decide di improvvisare, tralasciando il testo che ha preparato e parlando sulla spinta del cuore. Per questo motivo chi lo ascolta percepisce sempre come autentiche anche le esclamazioni che inframmezzano i suoi discorsi e che riattivano il dialogo attraverso appelli ed esortazioni: «Non si ripeta per favore»; «Quanto hanno sofferto!» (Lampedusa); «Coraggio!»; «Non lasciatevi rubare la speranza!» (Cagliari).

«Siamo disorientati»

Ancora nell’intervista apparsa su «Civiltà Cattolica», papa Bergoglio, richiesto di raffigurare sé stesso, si definisce senza esitazioni «un peccatore» (p. 451): che non si tratti di un’asserzione artificiosa o di circostanza ci viene confermato dall’uso insistito di un noi inclusivo con cui il papa si accomuna alle colpe degli ascoltatori:

«Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo capaci neppure di custodirci gli uni gli altri» (Lampedusa).

Il noi lo unisce anche a chi deve rivendicare i propri diritti contro gli idolatri del denaro, peccatori che, pur colpevoli di quanto accade, non sono esclusi dalla comunanza di chi prega:

«Noi dobbiamo dire: “Vogliamo un sistema giusto! Un sistema che ci faccia andare avanti tutti”. Dobbiamo dire: “Noi non vogliamo questo sistema economico globalizzato che ci fa tanto male!” Al centro ci deve essere l’uomo e la donna, come Dio vuole, e non il denaro!» (Cagliari).

«Domandiamo al Signore la grazia di piangere […] sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo» (Lampedusa).

Bergoglio dunque non scompare dietro un noi maiestatico e non esita, in modo irrituale per un pontefice, a dire io quando vuole mettere in gioco il suo stesso ruolo.

«Ma anche sono cosciente che devo fare tutto da parte mia, perché questa parola “coraggio” non sia una bella parola di passaggio! Non sia soltanto un sorriso di impiegato cordiale, un impiegato della Chiesa che viene e vi dice: “Coraggio!” No! Questo non lo voglio! Io vorrei che questo coraggio venga da dentro e mi spinga a fare di tutto come Pastore, come uomo» (Cagliari).

Dall'apologo al racconto personale

La denuncia del malessere sociale è gridata attraverso espressioni forti come la globalizzazione dell’indifferenza, che si è già fissata nella mente dei fedeli, ma in generale il coinvolgimento emotivo è ottenuto con parole e immagini che rinviano ad affetti familiari (il sangue del fratello, le giovani mamme che portavano i loro bambini) e che coinvolgono lo stesso pontefice: giunge, infatti, a narrare brevi episodi della propria vita, riferendosi al padre con toni colloquiali (mio papà) e ricordandone con un dativo etico (è andato… a “farsi l’America”) la partenza per l’Argentina. Il racconto esemplare che tradizionalmente accompagna la predicazione è qui sostituito da un racconto personale che ancora una volta favorisce la comunanza con gli ascoltatori.

«Hanno perso tutto! Non c’era lavoro! E io ho sentito, nella mia infanzia, parlare di questo tempo, a casa… Io non l’ho visto, non ero ancora nato, ma ho sentito dentro casa questa sofferenza, parlare di questa sofferenza. Conosco bene questo!» (Cagliari).

Lettore colto

Non è da credere, tuttavia, che si tratti solo di modi colloquiali: papa Francesco è lettore colto, amante dei classici e, come dichiara sempre nella stessa intervista, è ammiratore di Manzoni, il cui romanzo ha già letto tre volte (p. 471). Molte sono, infatti, nei suoi discorsi, le metafore e le immagini ricercate («illusione del futile», «anestesia del cuore», «“innominati”, responsabili senza nome e senza volto») testimoniano anni di rigorosa speculazione, a tal punto profonda da poter essere ormai trasmessa con accattivante semplicità.

Letture

L'omelia recitata a Lampedusa nel luglio 2013 e il discorso ai lavoratori di Cagliari del settembre 2013, indicati nel testo con le sigle Lampedusa e Cagliari, sono leggibili nel sito della Santa Sede

*Rita Librandi insegna Storia della lingua e Linguistica italiana presso l’Università di Napoli “L’Orientale”. Accademica della Crusca, dal gennaio 2012 è presidente dell’Associazione per la Storia della lingua italiana (ASLI). Dirige per Il Mulino la collana “Italiano, testi e generi” e dal settembre 2013 è condirettore della rivista «Lingua e stile». I suoi interessi di ricerca si rivolgono in particolare alla lingua della scienza nel medioevo, al linguaggio della comunicazione religiosa e alla storia linguistica regionale. Si segnalano le tre pubblicazioni più recenti: Dante e la lingua della scienza_, in_ Dante e la lingua italiana_, a cura di M. Tavoni, Ravenna, Longo editore, 2013;_ La letteratura religiosa_, Bologna, Il Mulino, 2012;_ La comunicazione cattolica dal pulpito alla piazza: Luigi Sturzo_, in_ Lingue e testi delle riforme cattoliche in Europa e nelle Americhe (secc. XVI-XXI), a cura di R. Librandi, Firenze, Cesati, 2012.