di Luca Raffaelli*

Punto, punto esclamativo e puntini di sospensione. Sono questi i segni protagonisti delle storie a fumetti. Il motivo è semplice, quasi ovvio. Dovendo interagire con le immagini in un rapporto tendenzialmente equilibrato, gli scritti non devono oltrepassare una certa, e peraltro variabile, lunghezza. Per questo si prediligono quei segni di interpunzione che vengono posti solitamente alla fine della frase. Il punto la conclude ufficialmente. Il punto esclamativo lo fa perentoriamente, con un segnale di emozione in più. Entrambe le funzioni si adattano sia all’uso all’interno delle nuvolette, e dunque dei dialoghi, sia all’interno della didascalia, anche se in questo secondo caso vuol dire che le descrizioni solitamente oggettive della didascalia si riempiono di partecipazione, e quindi di una qualche soggettività, sia nel caso che la didascalia stessa riporti il pensiero di un personaggio, sia che rimanga quella del neutro narratore. Insomma, è come quando nel cinema (anche documentaristico) sentiamo la voce fuori campo incitare la gazzella a correre più veloce per sfuggire all’attacco del predatore.

Passa il tempo, coi puntini…

I puntini di sospensione, invece, hanno diversi compiti, sia all’interno della nuvoletta, sia all’interno delle didascalie. Possono indicare una continuità tra la prima frase e quella successiva (in questo caso troveremo i puntini di sospensione anche all’inizio della seconda frase), oppure lasciare il discorso in sospeso. In questo senso li si trova spesso nelle didascalie, quando segnano un passaggio di tempo: “E così, due giorni dopo...”, oppure: “E nel giro di qualche minuto...”, e così via. In una recente sceneggiatura di Vincenzo Cerami (Gli occhi di Pandora, disegnato da Milo Manara), i puntini di sospensione sono usati brillantemente: Pandora incontra il padre che non ha mai conosciuto, e questo è il primo dialogo fra i due, che avviene nella 38a tavola del fumetto su 48 totali:

Padre: Tu saresti Pandora...

Pandora: ...e tu saresti mio padre!

Padre: Abbiamo gli stessi occhi.

Pandora: Già.

Padre: Cosa vuoi da me?

Pandora: Stavo per chiederti la stessa cosa...

Il primo scambio di battute è efficace, anche perché Manara inquadra prima il volto del padre e poi quello di Pandora centrandoli con lo stesso primo piano l’uno accanto all’altro e ponendo le nuvolette in modo simmetrico, sottolineando così la familiarità, la sintonia tra i due personaggi. Per quanto riguarda invece i puntini di sospensione dell’ultima frase di Pandora, questi presuppongono una disponibilità, un’apertura che punto o, peggio ancora, punto esclamativo, avrebbero perentoriamente escluso. Dunque, Pandora esprime quest’apertura al dialogo, peraltro limitata dalla frase, più aggressiva, della vignetta successiva: “Non vorrei ricordare male, ma sei stato tu a rapirmi e a farmi trascinare fin qua!”.

Virgole e nuvolette

In questa vignetta troviamo – per la prima volta in questi esempi – la virgola, necessaria, come ovvio, per suggerire al lettore le pause e gli stacchi giusti. Più la frase all’interno di una nuvoletta è lunga, e più si rivela indispensabile. Anche perché solitamente il punto chiude la frase di una nuvoletta, ma è molto raro trovarlo all’interno. Tex, il più popolare fumetto italiano, è uno dei più verbosi fumetti dell’era moderna. Intendo per era moderna quella che si differenzia dall’epoca della pubblicazione sui quotidiani, nei quali i comics statunitensi sono nati e si sono sviluppati. Un fumetto come Spirit di Will Eisner doveva per regola editoriale contenere molte parole. Il direttore del quotidiano che lo ospitava, infatti, pretendeva che il tempo di lettura non fosse troppo veloce (come sarebbe stato invece qualora le immagini avessero preso il sopravvento sulle parole). Pensava insomma a un rapporto fondamentale tra quello che è il tempo di lettura e il costo del supplemento in cui il fumetto veniva pubblicato. Più o meno la stessa cosa accadeva quando il fumetto italiano, nel dopoguerra, è stato pubblicato nel formato a strisce, il più economico per editori e giovani lettori. Allora gli sceneggiatori riempivano di parole didascalie e vignette perché le poche pagine (e dunque le poche strisce) durassero un tempo sufficiente a far crescere l’emozione e a cementare l’affezione per il personaggio protagonista.

Il verboso Tex

Con il passaggio agli albi formato Bonelli o formato Tex (tre strisce a pagina per centodieci pagine a fumetti), il problema non è più esistito in questi termini, tanto che personaggi bonelliani come Ken Parker hanno esibito lunghe sequenze di fumetto senza parole. Ma in Tex (in cui comunque si trovano scene silenziose di un paio di pagine al massimo) è rimasta la caratteristica della verbosità soprattutto attraverso i dialoghi, che devono riempire i vuoti, chiarire i rapporti tra i personaggi, spiegare le situazioni contingenti e anticipare le possibilità di svolgimento future. Ecco ad esempio quello che può arrivare a dire un personaggio come El Morisco (che si rivolge al suo assistente) in due sole vignette (tratte da Ritorno a Pilares, episodio di Nolitta/Letteri del 1993):

“Nei giorni prossimi, mentre sarò via, dovrai approfittare dei tuoi rapporti di parentela e di affetto con gli abitanti della regione per raccontare la vera versione dei fatti... (fine della prima vignetta)

(inizio della seconda) ...e poi, chissà che nel volgere di pochi giorni io e Tex si riesca a tornare qui portando prove e testimonianze capaci di ristabilire la verità e di dissipare questa stupida atmosfera di odio e di sospetto che grava su di noi”.

In questa stessa avventura si trovano talvolta anche i due punti: servono a spezzare la frase per rafforzare un’affermazione precedente (sempre El Morisco nello stesso episodio: “Lo farà di certo, Tex: puoi contarci.”) oppure fornire una spiegazione (ancora El Morisco: “Stai tranquillo: sarò all’altezza della situazione...”).

Un punto da supereroi

Un particolare ruolo del punto si è venuto a creare invece nella sintassi del fumetto supereroistico statunitense dagli anni Settanta, soprattutto da quando autori come Frank Miller hanno sviluppato l’idea della didascalia in prima persona o comunque della didascalia che non è una semplice guida per la comprensione del testo fumettistico, ma che lo sviluppa drammaticamente:

“Ora ce l’ho di fronte.”

“Il mio grande nemico.”

“Colui che mi ha sempre battuto.”

“Colui che ha distrutto la mia vita.”

In questo esempio, tratto da Sin City, il punto ferma ritmicamente la drammaticità delle parole, dando loro forza ed emozioni.

Il flusso di Jimmy Corrigan

Quasi all’opposto è la scelta della mancanza del punto, in un fumetto poetico come Jimmy Corrigan di Chris Ware. In questo caso il punto non c’è perché i pensieri scorrono liberi e leggeri, magari intensissimi, ma questi non devono imporsi al lettore, piuttosto è il lettore che deve coglierne il loro senso e la loro essenza.

Pensandoci su,

Il bambino comincia ad immaginare

Che la fiammella del lumicino

cresca

come un capello

nella lente della lanterna

e proietti ad oltranza

fuori dalla finestra

Un flusso costante di immagini prevedibili

*Luca Raffaelli (1959) è considerato uno dei massimi esperti italiani nel campo dei fumetti e dei cartoni animati. Collabora con «La Repubblica» e il suo mensile «XL»; dal 2003 scrive le introduzioni ed è consulente editoriale dei volumi a fumetti di «Repubblica-L’Espresso». È direttore artistico dei Castelli animati_, festival internazionale del cinema d’animazione di Genzano, e di_ Romics_, festival del fumetto di Roma. Autore televisivo, scrittore e saggista, ha pubblicato vari libri per bambini (tra gli altri_ Un fantasma in cucina e Gianga e Perepè per Mondadori) e Il fumetto per Il Saggiatore-Flammarion (1997). Per minimum fax ha già pubblicato Le anime disegnate. Il pensiero nei cartoon da Disney ai giapponesi e oltre (2005) e, nel 2009, Tratti&Ritratti. I grandi personaggi del fumetto da Alan Ford a Zagor (www.minimumfax.com). Come sceneggiatore ha collaborato tra l’altro alla scrittura di Johan Padan_, film animato di Giulio Cingoli tratto da un testo di Dario Fo. Mina ha inciso una sua canzone,_ Ninna pa’.

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