Di che cosa ci parlano le tante parole fatte di suoni che evocano altri suoni, prodotti da entità naturali o artificiali? Gli onomatopeici ahi!, bau bau, din don, brrrrr o i fonosimbolici miagolare, ronfare, sussurro in quale relazione stanno col mondo reale e come funzionano nel sistema della lingua? Una striscia di battigia separa, nei secoli, la concezione convenzionalistica del segno linguistico (la parola aristotelica che mostra la sua capacità di descrivere una realtà che esiste indipendentemente da ciò che se ne dice) dalla concezione naturalistica (la parola, anche nella sua fisicità sonora, partecipa alla creazione o modulazione del mondo), come spiega in questo Speciale pieno di trilli e di grugniti Luca Nobile (autore con Edoardo Lombardi Vallauri del recente Onomatopea e fonosimbolismo, Carocci ed.). Il convenzionalismo fa corpo con la tradizione scritta; il naturalismo è nel mare dell'oralità. In certi momenti di crisi (dei sistemi di trasmissione della cultura, per esempio), capita però che le onde del secondo avanzino fin dentro le terre del primo: l'animismo dell'onomatopea e del fonosimbolismo conquista posizioni e dignità, anche poetica, fino a entrare, sia nello scritto, sia per via orale, tra le convenzioni di generi testuali e stili del discorso tradizionali e nuovi, dalla fiaba, al fumetto, alla pubblicità. Torna in primo piano il potere evocativo, subliminale e persuasivo, che la parola fatta suono (e il suono fatto parola) può sprigionare, con una forza che il rigore manifesto dell'argomentazione, in certe situazioni, non possiede. Interventi di Daniele Barbieri, Rosarita Digregorio, Edoardo Lombardi Vallauri, Fabio Magro, Luca Nobile, Giuseppe Sergio.

Immagine: There Shall Be Sound, di Carle Hessay (1911-1978)

Crediti immagine: Carle Hessay [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)]