di Massimo Vedovelli*

Sin dal 2003 Salvatore Speranza e chi scrive si sono concentrati su un aspetto trascurato fino ad allora dalla ricerca linguistica, ovvero la lingua delle controetichette delle bottiglie di vino. Enogrammi: Speranza e Vedovelli, in Seduzione e informazione: il risvolto dell’etichetta. Note per una enogrammatologia (2003), con questo neologismo tecnico individuarono quello che cominciava a essere considerato come un vero e proprio autonomo genere testuale.

A partire dal 2009 tale approccio è stato ripreso da chi scrive, coordinando un gruppo di ricerca dell’Università per Stranieri di Siena entro il progetto europeo VinoLingua, che coinvolge anche università austriache, francesi, spagnole. Mirato a creare materiali didattici per l’insegnamento dei vari idiomi europei nell’ambito enologico e diretto agli operatori del settore, il progetto vede il gruppo senese impegnato a realizzare una banca dati degli usi linguistici enogrammatici, cioè dei testi delle controetichette. L’obiettivo è di studiare le caratteristiche della lingua italiana presente nelle controetichette, prendendo tale genere testuale come strumento per raggiungere le generali finalità didattico-linguistiche del progetto.

Le costrizioni normative, le consuetudini proprie dei diversi sistemi produttivi, e, infine, le diverse culture portano a polarizzare intorno a tre grandi modelli la struttura del testo enogrammatico.

Libero, strutturato o zero?

Uno è quello ‘libero’ (testo enogrammatico di tipo 1), dove il testo si sviluppa linearmente e dove la sequenza delle unità informative è solo latamente rispettosa di un modello standard. L’enogramma si presenta con un testo che a volte ha addirittura le forme della poesia, e che comunque in generale ha una sua intrinseca libertà espressiva.

Il modello contrapposto (testo enogrammatico di tipo 2) esalta, invece, la strutturazione, la modularità tabellare, l’articolazione in parti funzionalmente distinte. In questo secondo modello la linearità verbale è ridotta, mentre risulta presente in modo ancora più netto la simbologia, collocata in modo meno libero e più razionale rispetto al primo modello. Questa seconda modalità di costituzione del testo enogrammatico è prevalente nei Paesi anglofoni (USA, Australia) e in quelli emergenti della vinicoltura non europea (America Latina, SudAfrica).

Questo tipo di testo enogrammatico è articolato in sezioni: Zona di produzione, Vitigno, Caratteri, Abbinamenti gastronomici e Degustazione. Ogni sezione è introdotta dalla denominazione verbale accompagnata dalla simbologia: rispettivamente, un torchio, un grappolo, una botte, coltello e forchetta incrociate, un cavatappi. Non si creda, comunque, che questo tipo di impianto si sviluppi in modo del tutto diverso da quanto non accada negli enogrammi di ‘tipo 1’: ad esempio, come in questi il richiamo alla tradizione è una costante contenutistica e funzionale (si notino le immagini del torchio, della botte, del cavatappi, evocanti modalità tradizionali, artigianali di produzione).

Esiste, infine, un tipo 3 di testo enogrammatico: quello a ‘enogramma zero’, cioè la bottiglia che presenta la sola etichetta, essendo priva di controetichetta. È interessante notare che l’enogramma zero si presenta soprattutto in due tipologie totalmente distanti di vino: da un lato, si associa a vini di bassa qualità e bassissimo prezzo, dove il contenimento del prezzo è ottenuto anche con il risparmio sulla controetichetta; dall’altro lato, si presenta nei vini di altissima qualità, dove la sua assenza intende trasmettere un messaggio, che il vino è talmente importante e perciò noto da non avere bisogno di parole per autopresentarsi e autodefinirsi nelle sue caratteristiche.

Informare, sedurre e…

Nell’esaminare il ruolo della porzione verbale nella controetichetta ci poniamo una domanda: l’enogramma informa sul vino? Ovviamente, alla domanda si deve rispondere immediatamente ‘Sì’, in quanto è indubbio che le parole della controetichetta propongano al ricevente una serie di unità informative sul vino contenuto nella bottiglia. Occorre subito aggiungere, però, anche ‘apparentemente’, perché solo apparentemente il testo verbale vuole esclusivamente o anche solo prevalentemente informare sul vino. Ecco un esempio di controetichetta che genera dubbi sulla funzione puramente informativa del testo enogrammatico:

La bellezza, la semplicità, la dolcezza di un paesaggio unico: il desiderio di un Vino.

Garantiamo i nostri vini.

Dal tralcio al calice.

Questo enogramma costituisce un testo di grande interesse e complessità. Innanzitutto, sembrano molto vaghi i rapporti fra le tre parti che lo costituiscono, segnate dalla divisione frasale.

La frase-testa, di apertura, tutto fa meno che informare: recita una poesia di sensazioni, esibendo lessemi che dai tratti idilliaci di un paesaggio (la bellezza, la semplicità, la dolcezza) portano a un sentimento forte (il desiderio), che sposta il focus del senso sul vino. Questo è scritto con la maiuscola, per esaltare il suo ruolo di attore primario del testo (un Vino).

La seconda frase è l’unica verbale: Garantiamo i nostri vini. Il produttore si mette in gioco in prima persona e si appella al ricevente / destinatario, quasi a trovare nel paesaggio (unico: aggettivo un po’ banale, e comunque abusato) la fonte di un desiderio che deve trovare una garanzia di rielaborazione sociale, data proprio dal produttore.

Infine, la terza frase, di nuovo nominale, riapre i caratteri dell’universo sul quale si situa il rapporto fra produttore / autore e ricevente / destinatario: tutto il processo è oggetto della qualità garantita; garantita da un atto verbale, da una funzione pragmatica espressa e suggellata con le parole. Il processo va dalla natura (tralcio: tecnicismo. Il messaggio seleziona i suoi destinatari: sono persone con un certo livello di cultura) al momento in cui il vino è sentito, fatto proprio nelle forme di una elevata e controllata esperienza. Il calice non è solo un contenitore che serve per bere il vino, ma è l’oggetto i cui tratti superano i confini dell’esperienza comune: non è il bicchiere, ma un segno di distinzione, un simbolo che rimanda a una esperienza sociale nobile.

Che cosa c’è di realmente informativo in questo enogramma?

La nostra tesi è che le funzioni che primariamente sono sviluppate nella controetichetta, innanzitutto tramite le forme del linguaggio verbale, siano quelle seduttive, basate su un processo di proposta di condivisione di valori identitari che portano a voler creare una comunità fondata sulla condivisione di valori culturali, simbolici, esplicitati nel testo della controetichetta, suggellati nella fruizione del vino. Accanto alle funzioni informative se ne sviluppano, allora, di seduttive, fàtiche, identitarie.

… educare al gusto, con la lingua

Tra queste altre funzioni spicca quella educativa, che si sviluppa in direzione dell’educazione al gusto nell’esperienza del bere, e che pertanto contribuisce a quell’impegno per un bere responsabile che non è solo un contributo a una campagna di azione civile mirante a ridurre le conseguenze nefaste del bere irresponsabile a livello individuale e collettivo, ma anche l’esaltazione di un ulteriore tratto di qualità – qualità civile – legata ai valori identitari dell’esperienza del bere. Oltre a educare al gusto, oltre che educare il bere del destinatario, gentilezza nobile di chi produce il vino e segno della condivisione di valori identitari, il testo enogrammatico sviluppa una funzione di educazione linguistica al gusto: le parole per esprimere il gusto, l’esperienza del bere, le sensazioni, le percezioni, gli stati interni ci sono fornite proprio dal testo enogrammatico; la funzione di educazione al gusto tramite l’educazione linguistica per dare forma al gusto. Così, anche parole comuni (amabile, fragrante, inebriante, solare ecc.) riacquistano un nuovo senso, collegate all’occasione del bere vino, e seppure non le usiamo in tutti i momenti in cui parliamo o scriviamo, leggendole lì, rientrano nella nostra quotidianità con un nuovo valore, con una nuova capacità di creare senso.

La pluralità di funzioni dei testi enogrammatici si concretizza in elementi costanti di contenuto e di forma. Tra i primi, emerge con nettezza una struttura di contenuto che fa riferimento al tempo e alla storia: la condivisione di valori identitari e l’appartenenza a una comunità ideale si sostanzia del richiamo alla storia, che crea un continuum articolato in diversi poli intorno ai quali si aggregano i contenuti dei testi enogrammatici. Si tratta di vere e proprie figure del contenuto, che vanno dal richiamo a personaggi e eventi storici realmente esistiti, a personaggi e eventi collocati fra storia e leggenda, e infine agli elementi del mito. Si tratta di una cornice entro la quale contestualizzare la proposta di condivisione di valori identitari che mira a far sentire il destinatario parte di una comunità.

Ecco, allora, testi enogrammatici che evocano Napoleone e la sua campagna d’Italia per ricordarci il momento dell’impianto dei vitigni e della profonda ristrutturazione nelle tecniche della viticultura. Ecco, ancora, testi enogrammatici che richiamano gli antichi filosofi della Magna Grecia, o ancora i personaggi del mito (esempi 1 e 2).

Storia e leggenda, modernità e tradizione, comunità reale e comunità virtuale: tutto riporta al territorio e ai suoi tratti, alla sua terra e ai prodotti elettivi che ne derivano (fra questi, primo, il vino).

*Massimo Vedovelli è professore di Linguistica educativa presso l’Università per Stranieri di Siena, di cui è Rettore dal 2004.

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