Per lo marito c’ò rio

COMPAGNETTO DA PRATO

       

       “Per lo marito c’ò rio
       l’amor m’è ’ntrato in coragio;
       sollazo e gran bene ag’io
       per lo mal che con lui agio:
5        ca per lo suo lacerare
       tal penser’ò [e]o no l’avia,
       ché sono presa d’amare,
       fin’amante agio in balia,
       che ’n gran gioia mi fa stare.
10      Geloso, bat[t]uta m’ài,
       piaceti di darmi doglia,
       ma quanto più mal mi fai,
       tanto il mi metti più in voglia.
       Di tal uom m’acagionasti,
15      c’amanza no avea intra nui,
       ma da che ’l mi ricordasti
       l’amor mi prese di lui;
       lo tuo danagio pensasti.
       Mio amor mi mette a ragione;
20      dice s’io l’amo a cor fino
       però che m’ab[b]e a cascione
       ch’era nel male dimino.
       Per ira del mal marito
       m’avesti, e non per amore;
25      ma da che m’ài, sì mi [è] gito
       tuo dolzor dentro dal core,
       mio male in gioi m’è ridito.
       Drudo mio, a te mi richiamo
       d’una vec[c]hia c’ò a vicina;
30      ch’ella s’è ac[c]orta ch’io t’amo,
       del suo mal dir no rifina.
       Con molto airoso talento
       m’ave di te gastigata;
       met[t]emi a magior tormento
35      che quel cui son maritata;
       non mi lascia avere abento”.
       “Madonna, per lo tuo onore
       a nulla vec[c]hia non credere
       ch’elle guer[r]ïan l’amore,
40      per altri loro non credere.
       Le vec[c]hie son mala gente,
       non ti lasciar dismagare
       che ’l nostro amor fino e gente
       per lor non possa falzare.
45      Met[t]ale Dio in foco arzente!”
       La bella dice: “Par Deo,
       giurolti per mia leanza
       che non è cosa per ch’eo
       lasciasse la tu’ amistanza.
50      Ma perch’io mi ti lamento
       d’una mia disaventura,
       non aver tu pensamento
       che d’altr’amore agio cura,
       se non far tuo piacimento”.


Parafrasi

A causa del cattivo marito che ho m’è entrato nell’animo l’amore; provo piacere e felicità contrariamente al male che ricevo da lui: giacché, a causa dei suoi maltrattamenti, io provo un sentimento che prima non avevo, mi sono innamorata; ho un amante meraviglioso, che mi fa sentire molto felice. (Marito) geloso, mi hai picchiata, ti piace farmi soffrire, ma quanto più mi fai male tanto più mi fai venir voglia (di tradirti). Mi hai incolpata di (amare) un tale mentre tra me e lui non c’era attrazione, ma da quando me l’hai messo in mente mi sono innamorata di lui; ti sei attirato il tuo danno. Il mio amore mi contesta: dice che se io lo amo sinceramente è perché ero sotto il malvagio dominio (di mio marito). Mi hai avuta per rabbia contro il cattivo marito, e non per amore; ma dacché sono tua, tutto il mio dolore se n’è andato, il mio male si è trasformato in gioia. Amante mio, con te mi lamento per una vecchia, una mia vicina: si è accorta che ti amo, non la smette di sparlare. Con atteggiamento molto collerico mi tormenta ancora di più di quello a cui sono sposata; non mi lascia avere alcuna quiete”. “Madonna, in nome del tuo onore non dar retta a nessuna vecchia: perché loro si battono contro l’amore, e perciò nessuno deve starle a sentire. Le vecchie sono persone maligne, non lasciarti ingannare; che il nostro amore, nobile e gentile, non possa guastarsi a causa loro. Iddio le ponga nel fuoco ardente (dell’inferno)!”. La bella dice: “In nome di Dio, ti giuro sulla mia fede che non c’è nulla per cui io possa abbandonare l’attaccamento che ho per te. Però, per il fatto che io mi dolgo con te della mia sventura, tu non pensare che io abbia in mente un altro amore, ma solo (l’intenzione) di fare quello che vuoi tu”.

Commento

Non tutti i poeti della Scuola siciliana sono d’origine sicula; ve ne sono anche di altre regioni, ivi compresa la Toscana, attratti dalla corte imperiale di Federico II. I loro testi sono conservati nel codice Vaticano Latino 3793, dovuto a un copista toscano; pertanto è importante rilevare che quest’ultimo ha adattato i testi dal volgare siciliano al volgare toscano, quello che poi diverrà il "volgare illustre" di Dante e la lingua italiana. Questa "canzonetta", cioè una canzone composta di versi più brevi dell’endecasillabo - qui in strofe di nove ottonari, con lo schema ababcdcdc -, è un raro esempio in siciliano del genere della malmaritata (una donna che ha un matrimonio infelice, in genere giovane e bella con marito anziano e inadeguato), frequente nella lingua d’oil della Francia settentrionale; anche la situazione è più simile a quella dei fabliaux che non alle tematiche della lirica d’amore. Si tratta di un contrasto (un dialogo), in cui la protagonista si lamenta della crudeltà del marito e pensa di vendicarsi accettando le avances di un innamorato; frattanto una vecchia, personaggio tradizionale nelle malmaritate, cerca di ostacolare la loro relazione. Tutto l’insieme è lievemente ma indubitabilmente parodistico, e tende, con leggerezza intelligente, a intrattenere un pubblico di colti ascoltatori.

COMPAGNETTO DA PRATO

Compagnetto da Prato (XIII secolo), verseggiatore di origine toscana, è probabilmente un giullare - come sembrano mostrare i temi popolari e la facile scorrevolezza dei suoi versi - appartenente alla prima generazione dei poeti “siculo-toscani” della Magna Curia, la corte sveva dell’imperatore Federico II, fiorita tra il 1230 e il 1250. Della sua vita non sappiamo nulla; di lui ci restano due componimenti, L’amor fa una donna amare e Per lo marito c’ho rio.

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli