Sinfonia luminosa

LIBERO ALTOMARE

       

       A Vittorio Luce.
       Amo le luci sfrontate
       che violentano la morbida Notte
       ingemmata, che strappano
5        tutti i veli dei sogni fluttuanti nell’aria
       de la Città assopita;
       gli elettrici globuli
       che irradiano l’insonnia
       nelle sue vene torpide, le innumeri
10      pupille d’oro sanguinose e vigili
       a illuminare i tesori
       che ostenta, come una cortigiana,
       prima di coricarsi
       nel sonno scomposto, a mezzanotte,
15      con un solenne russar
       di orologi nascosti.
       Ecco: le case
       socchiudono le palpebre stridule
       de le finestre
20      da cui traspare e guizza
       qualche pupilla ostinata.
       La Città che riposa, ebbra di sole,
       palpita luce dai suoi mille cuori
       e sgrana per le vie tentacolari
25      i suoi occulti, simbolici rosari.
       - Il torrente di luce esulta e scroscia,
       i fari della gioia o dell’angoscia
       gridano, chiamano, provocano. -
       Sono occhi diabolici in agguato,
30      esplosioni d’odio e di peccato
       che staffilano l’anima
       come parole amare,
       scrosci di risa, squilli di fanfare;
       mentre i fanali snelli ed eguali
35      si seguono monotoni
       come i ritornelli
       delle vecchie canzoni marinare.
       E voci e suoni hanno
       risuonanze fosforiche.
40      Veicoli erranti, squillanti s’attardano,
       galoppano adorni di multicolori collane.
       La luce s’effonde dilaga
       con spasimi d’orgia:
       dai variopinti ritrovi mondani
45      sprizzano i luminosi
       echi delle ribalte.
       La luce applaude sé stessa;
       canta, sussurra, deride
       la luna beghina
50      che biascica preci al suo sole.


Commento

Quest’inno alla Città moderna, tecnologica, illuminata dalle luci elettriche dei lampioni, pubblicato nell’antologia I poeti futuristi del 1912, fa parte delle numerose composizioni ispirate al marinettiano Uccidiamo il Chiaro di Luna! (1909), estremamente polemico con il passatismo romantico e sentimentale, di cui la Luna (definita beghina, ipocrita e bacchettona) diventa il simbolo più vituperato. Con il suo torrente di luce artificiale la città si fa beffe della Luna e del suo signore, il Sole. Tra i versi spesso ancora tradizionali (settenari ed endecasillabi) prevalgono quelli sdruccioli, rapidi, anche a rima baciata, che sembrano scandire il ritmo martellante ed esaltato di un’energia febbrile. I vocaboli sonanti e declamatori (violentano la morbida Notte, strappano tutti i veli, pupille d’oro sanguinose, occhi diabolici, esplosioni d’odio, staffilano l’anima, risuonanze fosforiche, spasimi d’orgia...) traducono con aggressiva baldanza l’ondata di ottimistica vitalità che è la maggiore caratteristica del futurismo, espressione iconoclasta e insieme fiduciosa della volontà di uscire dal passato in una sorta di delirio di libertà.
LIBERO ALTOMARE

LIBERO ALTOMARE

Libero Altomare (Remo Mannoni, Roma 1883-1966), di professione funzionario statale, è poeta, pittore e pubblicista, fondatore e direttore (1908) della rivista Primo vere, collaboratore del Marforio e del Rugantino. Dopo un’esperienza “crepuscolare” si converte al futurismo, ma se ne distacca dal 1915. Fra le opere: Rime dell’Urbe e del suburbio (1908), Procellarie (1909), Fermento (1931). Una rievocazione del suo sodalizio con Filippo Tommaso Marinetti è il volume Incontri con Marinetti e il Futurismo (1954).

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli