Er giorno der giudizzio

GIUSEPPE GIOACHINO BELLI

       

       Cuattro angioloni co’ le tromme in bocca
       Se metteranno uno pe’ cantone
       A ssonà: poi co’ ttanto de voscione
       Cominceranno a ddì: ffora a cchi ttocca.
5        Allora vierà ssù una filastrocca
       De schertri da la terra a ppecorone,
       Pe’ rripijjà ffigura de perzone,
       Come purcini attorno de la bbiocca.
       E sta bbiocca sarà ddio bbenedetto,
10      Che ne farà du’ parte, bbianca, e nnera:
       Una pe’ annà in cantina, una sur tetto.
       All’urtimo usscirà ’na sonajjera
       D’Angioli, e, ccome si ss’annassi a lletto,
       Smorzeranno li lumi, e bbona sera.


Parafrasi

Quattro grandi angeli, con le trombe in bocca, si disporranno ai quattro angoli (della Terra) a suonare: poi a gran voce cominceranno a gridare: "Sotto a chi tocca". Allora comincerà a venire su una lunga fila di scheletri da sottoterra, camminando carponi, per riassumere la forma umana, raggruppandosi come fanno i pulcini intorno alla chioccia. E questa chioccia sarà Dio benedetto, che li dividerà in due parti, una bianca (i buoni) e una nera (i cattivi): una per andare in cantina (sprofondare all'inferno) e una sul tetto (in Paradiso). Alla fine verrà fuori un corteo d'angeli e, come se si andasse a dormire, spegneranno le luci, e buonasera!

Commento

Nel sonetto XXCCLXXIII (datato 25 novembre 1831) le trombe suonate da quattro angeli ai quattro angoli della Terra, come nell’Apocalisse, echeggiano in modo tragicomico, ma non ironico: il Belli, grande e vero poeta, non scherza nei suoi folgoranti quadretti che ritraggono la vita faticosa ma indistruttibile della plebe romana. Come è stato detto, la sua “commedia umana” ci fa pensare non alle stampe di un Pinelli, ma piuttosto alle acqueforti di un Goya. Ogni particolare, colto come nell’istantanea di un fotoreporter, si compone in un intero universo, pullulante di vitalità dolente e magmatica. La conclusione è pessimistica, ma non tanto da celare una partecipazione, se non la condivisione, del poeta alla faticosa epopea delle sue creature.
GIUSEPPE GIOACHINO BELLI

GIUSEPPE GIOACHINO BELLI

Giuseppe Gioachino Belli (Roma 1791-1863), orfano in giovane età, occupa modesti impieghi, è tra i fondatori dell’Accademia Tiberina e compone versi arcadici; dopo il matrimonio con una ricca vedova viaggia molto per l’Italia settentrionale, e a Milano ammira le poesie di Carlo Porta. Nel 1828 inizia la produzione maggiore di poesie in romanesco. Dopo la morte della moglie, nel 1837, torna a vivere in ristrettezze economiche; la parentesi mazziniana del 1849 lo spinge verso idee reazionarie, anche come censore teatrale. La sua produzione in vernacolo comprende Versi (1839), Versi inediti (1843), I sonetti romaneschi (1865-1866), postumi, che gli danno la celebrità: i 2279 sonetti, pubblicati nel 1952, costituiscono la più vasta raccolta del genere nella letteratura europea. Solo quantitativamente superiori sono gli scritti in italiano: Versi di G.G. Belli romano (1839), Litanie della Beata Vergine (1853), Inni ecclesiastici secondo l’ordine del Breviario romano (1856), le Lettere, i Giornali, lo Zibaldone (1962).

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli