Poi che per mia ventura

VERONICA GAMBARA

       

       Poi che per mia ventura a veder torno
       voi dolci colli, e voi, chiare e fresch’acque,
       e tu, che tanto alla natura piacque
       farti, sito gentil, vago ed adorno,
5        ben posso dire avventuroso il giorno,
       e lodar sempre quel desio che nacque
       in me di rivedervi, che pria giacque
       morto nel cor di dolor cinto intorno.
       Vi veggi’ or dunque, e tal dolcezza sento,
10      che quante mai dalla fortuna offese
       ricevute ho finor, pongo in oblio.
       Così sempre vi sia largo e cortese,
       lochi beati, il ciel, come in me spento
       è, se non di voi soli, ogni desio.


Parafrasi

Grazie al fatto che, per mia fortuna, torno a vedere voi, dolci colline, e chiare e fresche acque, e te, luogo gentile, che la natura ha voluto rendere tanto attraente e bello, posso ben definire fortunato questo giorno, e lodare sempre quel desiderio di rivedervi che è nato in me, e che a lungo giacque senza vita nel cuore, tutto avvolto dal dolore. Adesso dunque vi vedo, e provo una dolcezza tanto grande da farmi dimenticare tutte le offese che finora ho ricevuto dalla sorte. Perciò, luoghi beati, il cielo vi sia generoso e propizio, così come in me è spento ogni desiderio, se non quello di stare con voi.

Commento

Al ritorno a Correggio dopo un soggiorno a Bologna, Veronica rivolge al suo paesaggio familiare un grato e sincero saluto, in cui le reminiscenze delle “chiare, fresche e dolci acque” del Petrarca fanno da accompagnamento delicato ma costante a immagini e pensieri più ‘moderni’, bembeschi appunto, ma resi più sinceri - rispetto all’imperante petrarchismo di maniera - da una franca naturalezza espressiva. Nella bellezza tranquilla di una natura felice si insinua una certa vena di leggero dolore, nel ricordo di un passato in cui sembrava perduto per sempre - morto nel cor di dolor cinto intorno - anche il desiderio di continuare a vivere in un mondo gentil, vago ed adorno.
VERONICA GAMBARA

VERONICA GAMBARA

Veronica Gambara (Pralboino, Brescia, 1485 - Correggio, Reggio nell’Emilia, 1550), di nobile famiglia, riceve una raffinata educazione umanistica, studiando greco e latino, filosofia e teologia. Sposa nel 1509 Gilberto X, signore di Correggio, del quale rimane vedova a soli trentatré anni. Sopporta con animo coraggioso e saggio la vedovanza reggendo il piccolo Stato, onorata anche dall’imperatore e stimata da grandi scrittori e letterati del tempo, dall’Ariosto all’Aretino, al Tasso, a Vittoria Colonna, e soprattutto da Pietro Bembo, cui spesso sottopone i suoi sonetti, che ne loda la “leggiadria” e li definisce “puri, vaghi, affezionati e onorati”. Le sue Rime (con le Lettere) sono pubblicate, postume, nel 1759, e piacciono anche al Leopardi.

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli