Madonna, di voi piango

GIACOMO DA LEONA

       

       “Madonna, di voi piango e mi lamento,
       ché m’ingannate, ond’io doglio sovente”.
       “Messere, ed io doglio che da voi cento
       fiate sono ingannata malamente”.
5        “Madonna, per voi ho pena e tormento
       e dolor ne lo core e ne la mente”.
       “Messere, gioco è ’l vostro ver ch’eo sento;
       per voi m’encende el foco tropp’ardente”.
       “Madonna, tutto avvèn per gelosia
10      per fin amare, ché ciascun ha doglia,
       che teme di perder ciò c’ha ’n balia”.
       “Messere, quel che divenire soglia
       agli amadori, più fra noi non sia,
       ma ciò che l’ uno vuol e l’ altro voglia”.


Parafrasi

“Signora, piango e mi lamento di voi, che mi ingannate, e di ciò io spesso mi dolgo". “Signore, e io mi dolgo del fatto che vengo malamente ingannata da voi cento volte". “Signora, per causa vostra provo pena e tormento e dolore nel cuore e nella mente”. “Signore, il vostro è una sciocchezza in confronto a quello che provo io: per voi m’infiamma un fuoco troppo ardente”. “Signora, tutto questo succede per la gelosia, per (l’ansia di avere) l’amore perfetto, perché ciascuno soffre per il timore di perdere ciò che ha in suo potere”. “Signore, (facciamo in modo che) quanto generalmente succede tra gli amanti non avvenga tra noi: anzi, ciascuno voglia quello che vuole l’altro”.

Commento

Giacomo da Leona appartiene alla famiglia dei cosiddetti "poeti siculo-toscani", quelli cioè di area toscana e di transizione tra l’esperienza lirica della Scuola siciliana e lo Stil novo. Questo serrato "contrasto" a battute alternate tra il poeta e l’amata si rifà a esempi provenzali (in particolare di Peire Rogier, Giraut de Borneil e Aimeric de Peguilhan); lo stesso inizio richiama il Donna, di voi mi lamento di Giacomino Pugliese, e la chiusa ripete il “ché zo volete ch’eo” - vogliate quello che voglio anch’io - di Guittone d’Arezzo. I due amanti dicono di soffrire ognuno per colpa dell’altro, ma finiscono per accordarsi sul desiderare entrambi la stessa cosa. Non è l’originalità la dote maggiore di questa maniera poetica; si nota piuttosto, nel discorso simmetrico e altamente formalizzato, la sicura naturalezza - che con poca reverenza si potrebbe definire regolamentare - di cui l’abile rimatore dà prova.

GIACOMO DA LEONA

Ser Giacomo di Tancredo da Leona (Lèona, od. Lèvane, frazione di Montevarchi, Arezzo, 1217 circa - Volterra 1277/79), notaio, uomo di fiducia e segretario del potente Ranieri II della famiglia aretina degli Ubertini, quando questi, nel 1273, divenne vescovo di Volterra vi assume la carica di giudice. Lo si ricorda però maggiomente per la sua attività di musicista e poeta, ottimo conoscitore della lingua e della letteratura sia francese sia provenzale, grandemente lodato da Guittone d’Arezzo. Gli otto sonetti che ci restano trattano in parte di temi cortesi, in parte di argomenti che si sogliono definire “giocosi” o “comico-realistici”, come quello indirizzato all’amico e poeta Rustico di Filippo (Segnori, udite strano malificio).

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli