Cantèda zóinch

TONINO GUERRA

       

       Pirìn dagli Évi l’à e’ nóm de su por bà
       che a la su volta l’éva quèl de nòn,
       insòma i Pirin dagli Évi in finés mai
       e i féva un mél
5        ch’l’éva l’udòur dla ménta.
       La chèsa a mèza còsta,
       la è dalòngh da e’ paàis e da la vala.
       Vuìlt a n savói che in Amèrica, in primavéra,
       u i è i tréni ch’i pasa tal pianéuri quérti ’d móil e pésgh
10      e i pórta i bózz sagli évi
       ch’al fa al rufièni da fiòur a fiòur
       chè i rèm i n s móv par fè a l’amòur
       e i n’aróiva a sguzlè tal campanèli.
       Quèst l’è e’ mistir che fa Pirìn in primavéra:
15      e porta i bózz in ziré un tla campagna
       e pu l’aspèta tl’òmbra che i chéul dagli évi,
       lòvvi e smanèdi, i mètta incinta i fiéur.
       Ecco parchè e’ nas i frótt
       se no u n gn’i sarébb nè màili, nè pésghi e iniquèl.


Parafrasi

Canto quinto. Pierino delle Api ha il nome del suo povero babbo che a sua volta aveva quello del nonno, insomma i Pierino delle Api non finiscono mai e facevano un miele con l’odore della menta. La casa, a mezza costa, è lontana dal paese e dalla valle. Voi non sapete che in America, a primavera, ci sono i treni che passano nelle pianure coperte di meli e peschi e portano le arnie delle api che fanno da ruffiane da fiore a fiore perché i rami non si muovono per fare l’amore e non arrivano a sgocciolare dentro le campanule. Questo è il mestiere che fa Pierino in primavera: lui porta le arnie in giro nella campagna e poi aspetta, all’ombra, che i culi delle api, golose e impazienti, mettano incinti i fiori. Ecco perché nascono i frutti: se no non ci sarebbero né mele, né pesche, e nient’altro.

Commento

Capofila di un terzetto di “poeti romagnoli” (con Nino Pedretti e Raffaello Baldini), Tonino Guerra è insieme un erede diretto della “Romagna solatìa” di Giovanni Pascoli, nel suo lato più aderente alla ‘poetica del fanciullino’, e un surrealista nutrito di memorie familiari di stampo felliniano. In questo Quinto canto dal poemetto Il miele il suo monologare, insieme iperrealistico e fiabesco, mette in scena, nella sua controllata malinconia, un mondo animato da una serenità quasi biblica ma sottilmente e, si direbbe, dolorosamente amorosa.
TONINO GUERRA

TONINO GUERRA

Tonino (Antonio) Guerra (Santarcangelo di Romagna, Rimini, 1920-2012), maestro elementare, nel 1943 è deportato in Germania e inizia la sua produzione poetica in dialetto romagnolo. Tornato in patria, laureato in pedagogia, pubblica i primi versi, I scarabòcc (Gli scarabocchi, prefazione di Carlo Bo, 1946), La s-ciuptèda (La schioppettata, 1950), Lunario (1954), cui seguono I bu (I buoi, introduzione di Gianfranco Contini, traduzione italiana di Roberto Roversi, 1972), il poema Il miele (1982), La capanna e E’ viaz (Il viaggio, postfazione di Dante Isella, 1986), L’orto di Eliseo (1989). Tra le opere narrative sono La storia di Fortunato (1952), Dopo i leoni (1956), L’equilibrio (957), L’uomo parallelo (1969), Storie dell’anno Mille (1973), I cento uccelli (1974), Il polverone (1978), I guardatori della luna (1981), La pioggia tiepida (1984), Il vecchio con il piede in Oriente (1990). Dal 1953 svolge una prestigiosa attività di sceneggiatore per i maggiori registi, tra cui Tarkovskij, Rosi, Antonioni, Visconti, Angelopoulos, i fratelli Taviani, Fellini, Bellocchio, De Sica, Petri, De Santis. Si dedica anche alla pittura, alla scultura e all’ideazione artistica, realizzando allestimenti, installazioni, parchi, perfino ottimistici spot pubblicitari. Vincitore di numerosi premi, tra cui quattro David di Donatello, è Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli