dalla Fortuna
JACOPO DA BIENTINA
Fortuna: A udirti parlar, Bartolin, godo;
ma i’ vo’ che tu sappi, io son Fortuna,
e sì ti vo’ far ricco in ogni modo.
Villano: Oh, i’ non ho più mai veduto ignuna
5 delle fortune! Vo’ sète pur bella,
da comparir dove fosse ciascuna.
I’ ve sento chiamar malvagia e fella,
i’ mi credeva che vo’ fussi el vento,
quando la casa e ’l tetto mi tempella.
10 Voletemi far ricco? I’ nol consento,
ch’io non vo’ ir più su ch’ito mi sia
per non entrar in qualche strano stento.
E’ mi dà alle volte ricadia
se le pecore mie vanno a far danno
15 e di non perder quelle ho gelosia.
Per questo io penso come i ricchi fanno,
che hanno spesso la robba in sul mare
e credo che gli stien mal tutto l’anno,
o almen quanto ella pena a tornare;
20 ché pena pur avran, se la si perde;
oh, non si den poter mai rallegrare.
Di me non è così: s’i’ veggo verde
la campagna talor, me riconsiglio
d’aver del bene e l’animo rinverde.
25 Se manca un po’ di gran, tolgo del miglio;
e se gli è poco vin, l’acqua mi basta
per la sete, e non ho ignun scompiglio.
I’ metto su due ceppi una catasta
e stommi al fuoco a far gabbie e céstole,
30 la sera al verno o i’ drizzo qualche asta
e se v’è cose rotte in casa annestole.
La donna fila e riconciasi i panni,
chi rattaccona scarpe e chi fa mestole.
Sì ch’io mi sto senza pena o affanni,
35 e l’ir cercando miglior pan che ’l grano
potre’ tornar a casa con malanni.
Ma se Dio mi dà grazia di star sano,
i’ non vo’ più ricchezze o più tesori:
ha egli altro che vivere ’l cristiano
40 sì che Dio in paradiso lo ristori?
Parafrasi
Commento
JACOPO DA BIENTINA
Maestro Jacopo Niccolò del Polta (Firenze 1473-1539), detto il Bièntina dal paese presso Pisa da cui nel 1457 giunge a Firenze la sua famiglia di agiati commercianti, è chirurgo e araldo della Signoria e partigiano di Girolamo Savonarola. Compone canti carnascialeschi e testi teatrali, L’inganno e La Fortuna. Quest’ultima, commedia irregolare, o ‘farsa’, o ‘interconvivio’, viene recitata e poi stampata (nel 1524). In terzine, senza divisioni in atti, di struttura simile a quella delle sacre rappresentazioni, narra della dea Fortuna la quale, ottenuto da Giove il permesso di togliersi la benda dagli occhi, vorrebbe diventare giusta e spargere i suoi doni a ragion veduta. Ma le persone da lei scelte - un sacerdote, un filosofo, un soldato, un contadino - rifiutano le sue offerte, paghe del proprio stato, che considerano la vera ricchezza.Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli