dalla Fortuna

JACOPO DA BIENTINA

       

       Fortuna: A udirti parlar, Bartolin, godo;
       ma i’ vo’ che tu sappi, io son Fortuna,
       e sì ti vo’ far ricco in ogni modo.
       Villano: Oh, i’ non ho più mai veduto ignuna
5        delle fortune! Vo’ sète pur bella,
       da comparir dove fosse ciascuna.
       I’ ve sento chiamar malvagia e fella,
       i’ mi credeva che vo’ fussi el vento,
       quando la casa e ’l tetto mi tempella.
10      Voletemi far ricco? I’ nol consento,
       ch’io non vo’ ir più su ch’ito mi sia
       per non entrar in qualche strano stento.
       E’ mi dà alle volte ricadia
       se le pecore mie vanno a far danno
15      e di non perder quelle ho gelosia.
       Per questo io penso come i ricchi fanno,
       che hanno spesso la robba in sul mare
       e credo che gli stien mal tutto l’anno,
       o almen quanto ella pena a tornare;
20      ché pena pur avran, se la si perde;
       oh, non si den poter mai rallegrare.
       Di me non è così: s’i’ veggo verde
       la campagna talor, me riconsiglio
       d’aver del bene e l’animo rinverde.
25      Se manca un po’ di gran, tolgo del miglio;
       e se gli è poco vin, l’acqua mi basta
       per la sete, e non ho ignun scompiglio.
       I’ metto su due ceppi una catasta
       e stommi al fuoco a far gabbie e céstole,
30      la sera al verno o i’ drizzo qualche asta
       e se v’è cose rotte in casa annestole.
       La donna fila e riconciasi i panni,
       chi rattaccona scarpe e chi fa mestole.
       Sì ch’io mi sto senza pena o affanni,
35      e l’ir cercando miglior pan che ’l grano
       potre’ tornar a casa con malanni.
       Ma se Dio mi dà grazia di star sano,
       i’ non vo’ più ricchezze o più tesori:
       ha egli altro che vivere ’l cristiano
40      sì che Dio in paradiso lo ristori?


Parafrasi

-Bartolino, mi fa molto piacere sentirti parlare; ma voglio che tu lo sappia, io sono la Fortuna, e dunque voglio farti ricco a tutti i costi. -Oh, io di fortune non ne ho proprio viste mai! Voi siete bella davvero, da far una gran figura fra tutte le altre. Sento dire che siete malvagia e infida; io credevo che foste come il vento, quando mi sbatacchia la casa e il tetto. Volete rendermi ricco? Io non sono d’accordo, perché non voglio salire più in alto di quanto io abbia già fatto, per non ficcarmi poi in qualche bizzarro impiccio. A volte ho dei grattacapi se le mie pecore combinano qualche danno, e ho gran cura di non perderle. Perciò penso a come faranno i ricchi, che spesso hanno i loro averi (la robba) sul mare, e credo che soffrano tutto l’anno, o almeno quando questi faticano a tornare; e certo soffriranno parecchio, se vanno perduti; oh, (penso) che non possano mai stare allegri. Per me non è così: quando vedo la campagna verdeggiante, mi comvinco che ne avrò beneficio, e l’animo si rallegra. Se (mi) manca un po’ di frumento, prendo un po’ di miglio; se c’è poco vino, mi basta l’acqua per dissetarmi, e non ho nessun problema. Metto una catasta su due ceppi e me ne sto davanti al fuoco a intrecciare gabbie e ceste, nella sera, d’inverno, oppure raddrizzo qualche bastone, e se in casa c’è qualcosa di rotto, lo riparo. La (mia) donna fila o ci rassetta i vestiti, c’è chi rattoppa le scarpe e chi fa dei mestoli. Sicché io vivo senza preoccupazioni né affanni, e se andassi a cercare del pane migliore di quello di grano (qualcosa di meglio di quello che già ho di buono) potrei tornarmene a casa con qualche guaio. Ma purché Dio mi conceda la grazia di star bene in salute, io non voglio più ricchezze o più tesori: un cristiano ha (forse bisogno) d’altro, per vivere, perché Iddio lo ricompensi in paradiso?

Commento

Questa risposta rivolta alla Fortuna dal contadino Bartolino per declinare la sua offerta (che sembra piuttosto un’ingiunzione) pone in evidenza sia le paure dei ricchi che temono di perdere i loro beni, sia la disposizione ad accontentarsi di quanto si ha, chiedendo a Dio soltanto la buona salute. Con un linguaggio semplice e popolaresco, il Bientina tratteggia la vita quotidiana ideale del contadino toscano: un uomo sereno, operoso anche nelle fredde notti invernali, pieno di saggezza e di buon senso, appagato dalla propria condizione esistenziale.

JACOPO DA BIENTINA

Maestro Jacopo Niccolò del Polta (Firenze 1473-1539), detto il Bièntina dal paese presso Pisa da cui nel 1457 giunge a Firenze la sua famiglia di agiati commercianti, è chirurgo e araldo della Signoria e partigiano di Girolamo Savonarola. Compone canti carnascialeschi e testi teatrali, L’inganno e La Fortuna. Quest’ultima, commedia irregolare, o ‘farsa’, o ‘interconvivio’, viene recitata e poi stampata (nel 1524). In terzine, senza divisioni in atti, di struttura simile a quella delle sacre rappresentazioni, narra della dea Fortuna la quale, ottenuto da Giove il permesso di togliersi la benda dagli occhi, vorrebbe diventare giusta e spargere i suoi doni a ragion veduta. Ma le persone da lei scelte - un sacerdote, un filosofo, un soldato, un contadino - rifiutano le sue offerte, paghe del proprio stato, che considerano la vera ricchezza.

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli