da Il giorno
(Il meriggio, vv. 254-338)

GIUSEPPE PARINI

       

       Vero forse non è; ma un giorno è fama
       che fur gli uomini eguali: e ignoti nomi
       fur nobili e plebei. Al cibo al bere
       all’accoppiarse d’ambo i sessi al sonno
5        uno istinto medesmo un’egual forza
       sospingeva gli umani: e niun consiglio
       nulla scelta d’obbietti o lochi o tempi
       era lor conceduto. A un rivo stesso
       a un medesimo frutto a una stess’ombra
10      convenivano insieme i primi padri
       del tuo sangue o signore e i primi padri
       de la plebe spregiata: e gli stess’antri
       e il medesimo suol porgeano loro
       il riposo e l’albergo, e a le lor membra
15      i medesmi animai le irsute vesti.
       Sola una cura a tutti era comune,
       di sfuggire il dolore: e ignota cosa
       era il desire a gli uman petti ancora.
       L’uniforme de gli uomini sembianza
20      spiacque a’ celesti: e a variar lor sorte
       il Piacer fu spedito. Ecco il bel Genio,
       qual già d’Ilio su i campi Iride o Giuno
       a la terra s’appressa: e questa ride
       di riso ancor non conosciuto. Ei move
25      e l’aura estiva del cadente rivo
       e dei clivi odorosi a lui blandisce
       le vaghe membra; e lenemente sdrucciola
       sul tondeggiar de’ muscoli gentile.
       A lui giran d’intorno i vezzi e i giochi;
30      e come ambrosia le lusinghe scorrono
       da le fraghe del labbro; e da le luci
       socchiuse languidette umide fuora
       di tremulo fulgore escon scintille,
       ond’arde l’aere che scendendo ei varca.
35      Al fin sul dorso tuo sentisti o terra
       sua prima orma stamparsi: e tosto un lento
       fremere soavissimo si sparse
       di cosa in cosa; e ognor crescendo tutte
       di natura le viscere commosse:
40      come nell’arsa state il tuono s’ode,
       che di lontano mormorando viene,
       e col profondo suon di monte in monte
       sorge; e la valle e la foresta intorno
       mugon di smisurato alto rimbombo.
45      Oh beati fra gli altri e cari al cielo
       viventi a cui con miglior man Titano
       formò gli organi egregi, e meglio tese
       e di fluido agilissimo inondolli!
       Voi l’ignoto solletico sentiste
50      del celeste motore. In voi ben tosto
       la voglia s’infiammò, nacque il desio:
       voi primieri scopriste il buono, il meglio:
       voi con foga dolcissima correste
       a possederli. Allor quel de i duo sessi,
55      che necessario in prima era sol tanto,
       d’amabile e di bello il nome ottenne.
       Al giudizio di Paride fu dato
       il primo esempio: tra femminei volti
       a distinguer s’apprese: e fur sentite
60      primamente le grazie. Allor tra mille
       sapor fur noti i più soavi. Allora
       fu il vin preposto all’onda; e il vin si elesse
       figlio de’ tralci piú riarsi, e posti
       a piú fervido sol ne’ più sublimi
65      colli dove più zolfo il suolo impingua.
       Cosí l’uom si divise: e fu il signore
       da i mortali distinto, a cui nel seno
       giacquero ancor l’èbeti fibre, inette
       a rimbalzar sotto a i soavi colpi
70      de la nova cagione onde fur tocche;
       e quasi bovi al suol curvati ancora
       dinanzi al pungol del bisogno andàro;
       e tra la servitude e la viltade
       e il travaglio e l’inopia a viver nati
75      ebber nome di plebe. Or tu garzone
       che per mille feltrato invitte reni
       sangue racchiudi, poi che in altra etade
       arte forza o fortuna i padri tuoi
       grandi rendette; poi che il tempo al fine
80      lor divisi tesori in te raccolse,
       godi de gli ozj tuoi a te da i numi
       concessa parte: e l’umil vulgo in tanto
       dell’industria donato a te ministri
       ora i piaceri tuoi, nato a recarli
85      su la mensa regal, non a gioirne.


Parafrasi

Forse non è vero, ma è ben noto che un giorno gli uomini furono tutti uguali; e ‘nobili’ e ‘plebei’ erano parole sconosciute. Uno stesso istinto, una medesima forza spingevano gli esseri umani di ambo i sessi verso il cibo, il bere, l’accoppiamento e il sonno: non avevano nessuna facoltà di decidere, nessuna possibilità di scegliere tra le cose, i luoghi o i momenti. Si ritrovavano insieme vicino a uno stesso fiume (per bere), allo stesso (albero da) frutto (per mangiare), alla stessa ombra (per ripararsi) i primi antenati del tuo sangue, o signore, come quelli della (oggi) disprezzata plebe. Le stesse caverne, lo stesso suolo offrivano loro riposo e rifugio, gli stessi animali fornivano alle loro membra i vestiti di ruvide pelli. La loro unica e comune preoccupazione era quella di sottrarsi al dolore, e il piacere non era ancora conosciuto dall’animo umano. La situazione uniforme degli uomini non piacque agli dei, che per rendere diversi i loro destini inviarono sulla terra il Piacere. Ecco che la bella Divinità, come avevano già fatto Iride (messaggera degli dei) e Giunone sui campi di battaglia di Troia, si avvicina alla terra; e questa è felice per una sensazione che prima non aveva mai conosciuto. Lui scende, e l’aria estiva del ruscello che fluisce a valle e delle colline profumate gli accarezza le belle membra, scivolando dolcemente sui suoi muscoli graziosamente arrotondati. Intorno a lui si aggirano bellezza e gioia, e dolci come il miele scorrono le lusinghe dalle sue labbra di fragola; e dagli occhi socchiusi escono languide scintille di luce tremula che infiammano l’aria che lui attraversa scendendo. Infine sul tuo dorso, o Terra, sentisti imprimersi la sua prima orma; e subito si sparse dappertutto un lento e dolcissimo tremolio, e sempre crescendo agitò le viscere della natura, come il mormorio del tuono si sente giungere da lontano nelle notti d’estate, e col suo suono profondo sale da un monte all’altro, e la valle e la foresta risuonano del suo alto e smisurato rimbombo. Oh fortunati fra tutti i mortali, e cari agli dei, quelli a cui Titano (Prometeo) ha plasmato in maniera perfetta i nobili organi (il sistema nervoso), inondandoli di un fluido (il sangue) altrettanto nobile! Voi sentiste gli ignoti stimoli del motore divino (il piacere). Ben presto divamparono in voi le voglie, e nacque il desiderio; voi scopriste per primi il buono e il meglio; e con dolcissima foga correste per ottenerli. Allora quello dei due sessi (il femminile) che prima era soltanto necessario, venne definito amabile e bello. Il primo esempio (di scelta) fu il giudizio di Paride (che dovette decidere chi fosse la più bella fra Giunone, Minerva e Venere) e si imparò a scegliere fra i volti delle donne; e per la prima volta fu percepito il senso della bellezza. Allora fra tutti i sapori si giudicarono i più dolci. Allora si preferì il vino all’acqua; e si scelse il vino ottenuto dai tralci più asciutti ed esposti al sole più forte nei colli più alti, dove il terreno è più ricco di zolfo. Così gli uomini si divisero, e il signore si distinse dai plebei nel cui petto rimanevano ancora intorpidite le ottuse fibre nervose, incapaci di reagire alle piacevoli sensazioni del nuovo stimolo da cui venivano eccitate; e procevedano come buoi chini sulla terra, spinti dal pungolo del bisogno; e, nati per vivere tra la servitù, la viltà, il lavoro e la miseria, vennero chiamati plebe. Tu invece, ragazzo, che hai (nelle vene) un sangue distillato da centinaia di nobili lombi, poiché in tempi più antichi l’abilità, la violenza o il caso resero grandi i tuoi antenati, e poiché il passare del tempo ha finalmente riunito in te le ricchezze che prima erano divise (tra i vari rami delle famiglie), goditi gli ozi, la parte che ti è assegnata dagli dei; e intanto l’umile volgo, cui è stata donata (solo) la laboriosità, ti fornisca i tuoi piaceri, lui che è nato per servirli alla mensa del nobile, e non per goderne.

Commento

Il poemetto didascalico in endecasillabi sciolti Il giorno, dedicato alla descrizione della giornata di un giovane nobile, usa la tecnica satirica, già adottata da Alexander Pope nell’eroicomico Ricciolo rapito (1712), di riprodurre su piccola scala avvenimenti eroico-mitologici, offrendo al contempo il lato più luminoso e il rovescio della medaglia. Qui la favola del Piacere, inviato sulla Terra dagli dei, che diversifica gli esseri umani, i loro gusti e le loro sorti, compresa la distinzione tra la nobiltà e la plebe, fornisce con suprema eleganza anche la critica, non tanto politica quanto morale, delle disuguaglianze sociali. I continui riferimenti alla tradizione classica (soprattutto a Virgilio e Orazio) scivolano quasi inavvertiti nel tessuto di un testo che va oltre gli schemi arcadici e neoclassici, scintillante di fastosa ironia e sorprendentemente ‘moderno’.
GIUSEPPE PARINI

GIUSEPPE PARINI

Giuseppe Parini (Bosisio, Como, 1729 - Milano 1799), di umili origini, studia a Milano, dove pubblica nel 1752 sotto pseudonimo un volume di poesie arcadiche, Alcune poesie di Ripano Eupilino. Fa parte dal 1753 dell’Accademia dei Trasformati, diviene abate (1754) ed è precettore in case di famiglie nobili (Serbelloni e Imbonati), partecipando attivamente alla vita culturale della città. Nel 1757 dichiara le sue concezioni illuministiche nel Dialogo sopra la nobiltà (d’animo e non solo di lignaggio) e nel 1761 esorta a una poesia rivolta al bene e alla virtù nel Dialogo sopra la poesia. Dopo il successo delle prime due parti del Giorno (Il mattino, 1763, e Il mezzogiorno, 1765), dirige la Gazzetta di Milano (1768) e tiene dal 1769 la cattredra di eloquenza alle Scuole palatine (dal 1773 ginnasio di Brera), divenendo infine sovrintendente delle scuole pubbliche. Fra il 1757 e il 1795 compone 19 Odi, tra cui La vita rustica (1757), La salubrità dell’aria (1759), L’innesto del vaiuolo e Il bisogno (1765), La musica (1769), di grande impegno civile; Il pericolo (1787), Il dono (1790), Il messaggio (1793), ispirate alla bellezza femminile e all’amore; Alla Musa (1795), celebrazione della poesia, educatrice e consolatrice. Le due ultime parti del Giorno (Il vespro e La notte, incompiuta) sono pubblicate postume nel 1801.

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli