La mia poesia non sarà
un giuoco leggero
fatto con parole delicate
e malate
5
(sole chiazze di marzo
su foglie rabbrividenti
di platani di un verde troppo chiaro).
La mia poesia lancerà la sua forza
a perdersi nell’infinito
10
(giuochi di un atleta bello
nel vespero lungo d’estate).
La poesia di Sandro Penna, uno dei più isolati e singolari lirici del Novecento, è estranea all’ermetismo imperante e fa quasi da contraltare a quella di Eugenio Montale (conosciuto sin dagli anni Trenta e a cui dedica alcuni versi); è avvicinabile, per certi apetti, a quella dell’amico Umberto Saba e anche alla purezza lieta e trasparente dell’antica lirica greca, cui si apparenta anche per il tema dominante, l’amore omoerotico per i ragazzi - insieme puro e pieno di desiderio - e per la lingua che sa fondere, in una trama metrica originalissima, leggerezza e forza, forme popolari e modi classicheggianti. Viene collocato, secondo una definizione di Pier Paolo Pasolini, nella “linea antinovecentesca” o “sabiana”, accanto a Giorgio Caproni e ad Attilio Bertolucci. Questa composizione, che apre le Giovanili ritrovate, scritte fra il 1927 e il 1936, è un piccolo manifesto di quanto (esemplificato nelle due parentesi) l’autore intenda come poesia: non un modello raffinato, attraente ma sostanzialmente debole e “malato”, bensì una forza vitale e matura, lanciata nell’infinito come il giavellotto dell’atleta bello in un lungo tramonto d’estate.
Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli