Questa o quella
FRANCESCO MARIA PIAVE
Questa o quella per me pari sono
a quant’altre d’intorno mi vedo;
del mio core l’impero non cedo
meglio ad una che ad altra beltà.
5 La costoro avvenenza è qual dono
di che il fato ne infiora la vita;
s’oggi questa mi torna gradita,
forse un’altra doman lo sarà.
La costanza, tiranna del core,
10 detestiamo qual morbo crudele;
sol chi vuole si serbi fedele;
non v’ha amor, se non v’è libertà.
De’ mariti il geloso furore,
degli amanti le smanie derido;
15 anco d’Argo i cent’occhi disfido
se mi punge una qualche beltà.
Parafrasi
Questa o quella (bella donna) per me sono simili a tutte le altre che vedo intorno a me; non cedo il dominio del mio cuore a una bella piuttosto che a un’altra. La loro bellezza è come un dono con il quale il destino adorna di fiori la nostra vita; se oggi mi piace questa, forse domani mi piacerà un’altra. Noi detestiamo, come una grave malattia, la costanza, che governa tirannicamente il cuore; si man- tenga fedele soltanto chi vuol farlo; non c’è amore se non c’è libertà. Mi faccio beffe del furore, dettato dalla gelosia, dei mariti, e delle inquiete insoddisfazioni degli amanti; sfido anche i cento occhi di Argo (il mitico gigante posto da Giove a guardia di Io) se mi stuzzica qualche bella donna.
Commento
Nella prima scena del primo atto del Rigoletto (ispirato a Le roi s’amuse di Victor Hugo e rappresentato alla Fenice di Venezia nel 1851) il Duca di Mantova, seduttore impenitente quanto incostante, espone in questa celeberrima aria, in quartine di decasillabi col quarto verso tronco e monorimo - in una perfetta fusione tra parole e musica - la propria edonistica teoria sul ‘libero amore’. (In un’altra aria del terzo atto, La donna è mobile / qual piuma al vento, il Duca considererà altrettanto incostante l’amore femminile; ma lo sviluppo e la tragica conclusione della vicenda faranno da contraltare al suo gaio e spensierato cinismo.)
FRANCESCO MARIA PIAVE
Francesco Maria Piave (Murano, Venezia, 1810 - Milano 1876), dopo gli studi di retorica e filosofia a Roma, torna a Venezia, dove nel 1842 inizia la sua attività di librettista per il teatro della Fenice, del quale diviene nel 1848 poeta ufficiale e direttore degli spettacoli. Nel 1850 passa al teatro alla Scala di Milano, dove è poeta ufficiale dal 1859 al 1867. La sua migliore produzione è quella nata dalla col- laborazione con Giuseppe Verdi, per il quale scrive dieci libretti, fra i quali Ernani e I due Foscari (1844), Macbeth (1847), Rigoletto (1851), La traviata (1853) e La forza del destino (1862).Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli