Io son da l’aspettar omai sì stanca

GASPARA STAMPA

       

       Io son da l’aspettar omai sì stanca,
       sì vinta dal dolor e dal disio,
       per la sì poca fede e molto oblio
       di chi del suo tornar, lassa, mi manca,
5        che lei, che ’l mondo impallidisce e ’mbianca
       con la sua falce e dà l’ultimo fio,
       chiamo talor per refrigerio mio,
       sì ’l dolor nel mio petto si rinfranca.
       Ed ella si fa sorda al mio chiamare,
10      schernendo i miei pensier fallaci e folli,
       come sta sordo anch’egli al suo tornare.
       Così col pianto, ond’ho gli occhi miei molli,
       fo pietose quest’onde e questo mare;
       ed ei si vive lieto ne’ suoi colli.


Parafrasi

Ormai sono così stanca di aspettare, così vinta dal dolore e dal desiderio, a causa della fedeltà così scarsa e della dimenticanza tanto grave da parte di colui che, ahimè, mi lascia priva del suo ritorno, che talvolta, come un sollievo per me, io invoco colei (la Morte) che con la sua falce conferisce a tutto il mondo un bianco pallore, e infligge l’ultima punizione: tanto grande è il dolore che nel mio petto continua a rafforzarsi. Ma lei rimane sorda al mio richiamo, e si fa beffe dei miei pensieri illusi e insensati, come lui resta sordo al mio desiderio che torni da me. Così con il pianto, che scioglie i miei occhi, io commuovo queste onde e questo mare, mentre (invece) lui se ne sta tranquillamente felice sulle sue colline (di Collalto).

Commento

Sin dal primo verso, quasi uguale al petrarchesco “Io son de l’aspectar ormai sì vinto”, le parole di questo sonetto (vinta, disio, oblio, refrigerio, sorda, pensier folli, occhi molli) sono prese dal linguaggio del Petrarca; ma il petrarchismo, imperante al tempo di Gaspara Stampa, nella sua pagina non è freddo e meccanico: anzi, il suo tono sinceramente appassionato (benché, secondo l’atmosfera del luogo e del tempo, più ‘cantabile’ e più melodrammatico che drammatico) è molto diverso da quello del Canzoniere. Animato da una tensione febbrile, il suo discorso è ricco di immagini, ora contrastanti (poca fede e molto oblio, morte che dà refrigerio, pianto della donna in riva al mare e vivere lieto dell’amante nel suo alto castello), ora parallele (morte sorda, amante sordo). Il suo lamento, che oscilla sperduto tra il desiderio più dolente, l’invocazione alla morte che ponga fine alle sue pene e una malcelata ostilità per la colpevole indifferenza dell’amato, sembra anticipare l’irrequietezza delle antitesi manieriste e barocche.
GASPARA STAMPA

GASPARA STAMPA

Gaspara Stampa (Padova tra il 1520 e il 1525 - Venezia 1554) si trasferisce a Venezia nel 1531 dopo la morte del padre, con la madre e la sorella, cantante, e il fratello, poeta. Bellissima e colta, cantante e poetessa, entra a far parte della società raffinata e mondana della città, conducendo vita libera e spregiudicata. Gran parte delle sue 311 Rime, pubblicate postume dalla sorella nell’anno della morte, è dedicata al suo grande amore, appassionato quanto infelice, per il nobile Collaltino signore di Collalto (nella Marca Trevigiana), valoroso uomo d’armi, poeta e scienziato. La relazione dura dal 1548 al 1551, e a quegli anni risale anche questo sonetto.

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli