I’ son sì magro, che quasi traluco

MEO DE’ TOLOMEI

       

       I’ son sì magro, che quasi traluco,
       de la persona, ma più de l’avere;
       amico né parente ho, che vedere
       mi voglia, sol per ch’or non vesto il luco;
5        e già del mi’ poco i’ me ne conduco,
       ch’è ’n viver di speranza ch’ho d’avere:
       e di quel tempo avess’io de le pere,
       ch’i mei non mi terranno così bruco.
       Esser ho ricco, e ’l modo saper parmi:
10      mia madre, Ciampolino e ’l Zeppa tanto
       per me guadagnan, che non ho ch’a starmi.
       Or mi rendessen del mi’ pur alquanto!
       ché tutti tre, en ben assottigliarmi,
       son Padre e Figlio con Spirito Santo.


Parafrasi

Io sono tanto magro, che divento quasi trasparente, non tanto per il fisico, quanto per la mancanza di denaro; non ho nè amico né parente che voglia frequentarmi, solo perché adesso non indosso più il lucco (abito riservato a persone importanti, in particolare magistrati); e già con quello che posseggo ho poco da arrangiarmi, perché si limita alla speranza di possedere (qualcosa) in futuro: e magari allora possedessi qualche frutto, ché i miei non mi terrebbero così (nudo) come un bruco. Magari diventerò ricco, e già mi sembra di sapere come: mia madre, Ciampolino e lo Zeppa guadagnano tanto al mio posto, che a me basta starmene lì (tranquillo e inoperoso; ma è detto ironicamente). Ah, se mi restituissero almeno una parte di ciò che è mio! Perché tutti e tre, quando si tratta di farmi diventare sempre più magro, sono come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Commento

La madre, il finto amico Ciampolino e il fratello, Mino detto lo Zeppa, sono una trinità coalizzata contro Meo per ridurlo sempre più in miseria, e questa condizione miseranda porta con sé anche l’abbandono da parte di amici e conoscenti. Il tema dell’isolamento dovuto alla povertà, tradizionale nella poesia comico-realistica, in particolare senese (e soprattutto di Cecco Angiolieri), si incrocia con l’altro, dell’accusa e di una feroce ostilità contro gli odiati parenti. In gran parte quella che anima la vivace immediatezza del sonetto non è che una posa letteraria, propria del genere “giocoso” contrapposto alle contemporanee finezze del Dolce stil novo; tuttavia non si può trascurare la realtà biografica dello sfortunato poeta.

MEO DE’ TOLOMEI

Meo, o Meuccio, de’ Tolomei (Siena XIII-XIV sec.), di famiglia illustre, dapprima cittadino influente (è lui a ratificare la pace tra guelfi e ghibellini senesi del 1280 e a porre fine all’ostilità dei Tolomei con la famiglia Salvani, sposandone nel 1285 una rappresentante) e amico di Dante Alighieri e Cino da Pistoia, vede la propria fortuna scemare sempre più a vantaggio di quella dell’intraprendente fratello minore, Mino, detto lo Zeppa, che diviene più ricco e famoso di lui - ambasciatore presso il papa (1285), podestà di Massa in Maremma (1286), di San Gimignano (1299), di Rimini (1300) e di Viterbo (1301) - mentre Meo cade nell’oblio. Dei suoi sonetti (una ventina in tutto) alcuni sono a lungo attribuiti al più famoso concittadino Cecco Angiolieri; egli resta, tuttavia, uno dei maggiori rimatori comico-realistici del suo tempo.

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli