M’ama la bella mia

VANN’ANTÒ

       

       “M’ama la bella mia, sempri m’arriri:
       quannu vuògghiu, rispunni a la ciamata.”
       “A la mia bella ci manca la firi,
       nun ci po’ crirri, no, ri quantu è amata.”
5        “La mia bella è ’nu specciu, ca t’ammiri
       e la to’ fiura c'è sempri stampata...”
       “La mia gioia si viri e nun si viri:
       e primavera ’n mienzu a l’'invirnata.”
       “Iu vincii ni la ddutta ri l’amuri
10      ccu ’n attu ri curaggiu, cuomu fa
       (vitti e sparau) lu bravu cacciaturi.”
       “L’anima mia tenaci aspetta: sa
       ch’è cciú vivu l’affettu nel duluri
       cuomu la fiamma ni l’oscurità!”


Parafrasi

“La mia bella mi ama, e mi sorride sempre: quando voglio, risponde al mio richiamo.” “Alla mia bella manca la fede, non ci può credere, no, a quanto è amata.” “La mia bella è uno specchio, nel quale ti guardi e la tua figura vi è sempre riflessa …” “La mia gioia si vede e non si vede: è una primavera nel mezzo dell’inverno.” “Ho vinto nella lotta dell’amore con un atto di coraggio, come fa (vidi e sparai) il bravo cacciatore.” “La mia anima aspetta saldamente: sa che nel dolore l’affetto è più vivo, come la fiamma nel buio!”

Commento

La poesia di Vann’Antò, abbandonata la fase futurista, è dominata da un’attrazione nativa per i temi e i personaggi “popolari” (braccianti, minatori, soldati), cui si contrappone - con un atteggiamento in parte involontario, dovuto alla formazione culturale superiore - un distacco un po’ freddo che rischia di far scivolare il discorso lirico nel ‘pittoresco’ di maniera. Ne risulta un impasto vivace, benché non sempre del tutto amalgamato, tra atmosfere pascoliane, veriste e d’avanguardia. Anche in questo sonetto, da Voluntas tua, il dialogo tra due uomini dalla diversa fortuna in amore si modella, come in un antico “contrasto”, in forme ‘popolareggianti’, rifacendosi intenzionalmente ai modi dialettali della poesia popolare siciliana.
VANN’ANTÒ

VANN’ANTÒ

Vann'Antò è lo pseudonimo di Giovanni Antonio Di Giacomo (Ragusa 1891 - Messina 1960), uno dei maggiori poeti in siciliano del Novecento. Lettore del Pascoli e dei crepuscolari, ma anche dei poeti di Lacerba, nel 1914 aderisce cautamente al futurismo e si laurea a Catania con una tesi sul verso libero in Francia e in Italia. Nel 1916, volontario, combatte con il grado di tenente e nel 1917 è ferito sulla Bainsizza e provato dalla tragedia della guerra e della trincea. Dal 1920 è insegnante a Messina, dove sarà preside di scuola media e poi, nell’università, docente di storia delle tradizioni popolari. Autore di saggi sulla materia, tra cui Il dialetto del mio paese (1945), Indovinelli popolari siciliani (1954), Gioco e fantasia (1956), curatore di un’edizione de La Baronessa di Carini (1958), ottimo traduttore di Mallarmé e di altri poeti francesi, pubblica numerose raccolte di versi, in italiano, tra cui Il fante alto da terra (1923), Madonna nera (1955) e Fichidindia (1956), e in siciliano: Voluntas tua (1926), Madonna nera (1955), U vascidduzzu (1956), ’A pici (1958).

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli