Centèṡimo

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centesimo


centèṡimo (poet. centèsmo) agg. e s. m. [dal lat. centesĭmus, der. di centum «cento»]. – 1. agg. num. ord. a. Che in una serie, in una progressione, occupa il posto corrispondente al numero cento (in scrittura numerica 100°, in numeri romani C): arrivare centesimo, centesima, o, come sost., essere il c. nella graduatoria. In composizione con altri numerali forma gli ordinali superiori: centesimo primo (o, più com., centunesimo), centesimo secondo (o, più com., centoduesimo), ecc. b. Con valore partitivo, la c. parte, una delle cento parti uguali in cui si divide l’intero: il centimetro è la c. parte del metro. 2. s. m. a. La centesima parte (numericamente 1/100): ho sbrigato appena un c. del lavoro. Centesimo era detta in Francia, prima della Rivoluzione, l’imposta dell’1% sui trasferimenti dei beni, spec. immobiliari, dalla quale trassero origine le moderne imposte sui trasferimenti di ricchezza. C. di guerra, tributo di carattere straordinario istituito durante la prima guerra mondiale per sopperire alle necessità della guerra. b. Moneta che vale la centesima parte di un’euro, di una lira o di altra unità monetaria (variamente indicata nei diversi Paesi: centime in Paesi di lingua francese, céntimo e centavo in Paesi di lingua spagnola, centavo in Paesi di lingua portoghese, cent negli Stati Uniti d’America e altrove; ecc.); in Italia, l’ultima emissione del centesimo di lira risale al 1916, la prima del centesimo di euro al 1999. Per estens., pochissimo denaro, spec. in frasi negative, dove equivale a «nulla, niente»: non guadagna un c.; non avevo un c. in tasca; non vale un c.; anche fig.: non ha un c. d’amor proprio. ◆ Dim. centeṡimino, nome che si dava in passato alle monetine del valore di un centesimo di lira.