Follìa

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follia


follìa s. f. [der. di folle1]. – 1. a. Genericam., stato di alienazione, di grave malattia mentale (sinon. quindi di pazzia): essere colto da f. improvvisa; essere sull’orlo della follia. Con accezione partic., f. collettiva, comportamento di gruppi che, in determinate circostanze e per reciproca suggestione, rivela una comune situazione psicopatologica, manifestandosi con allucinazione, delirî paranoici, fanatismo sociale e religioso, ecc.; l’espressione è spesso usata in senso attenuato e scherz., con allusione a mode, infatuazioni temporanee. b. estens. Mancanza di senno, stoltezza, orgogliosa o leggera sconsideratezza: Questi non vide mai l’ultima sera, Ma per la sua f. le fu sì presso, Che molto poco tempo a volger era (Dante); prov., beltà e f. vanno spesso in compagnia. c. In senso concr., atto da pazzo, cioè temerario o imprudente, che mostra scarso senno: fare, commettere delle f.; ritengo una f. mettersi in mare con quest’uragano; e di cose che si ritengono irrealizzabili, impossibili: sarebbe una f. pretendere di vincere un simile avversario; tiene un premio Ch’era f. sperar (Manzoni). d. Locuz. avv. alla follia (modellata sul fr. à la folie), perdutamente, appassionatamente, in espressioni come amare, essere innamorato alla f., e sim.; più corretto ma meno com. sino alla follia. 2. Danza cinquecentesca d’origine iberica, in movimento moderato e misura di 3/4, spesso trattata da compositori italiani in forma di tema variato.