Martìrio

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martirio


martìrio (ant. o poet. martìre, martìro) s. m. [dal lat. tardo martyrium, gr. μαρτύριον, propr. «testimonianza»; v. màrtire]. – 1. In senso stretto, la morte violenta o le sofferenze subìte e accettate da un cristiano pur di non rinnegare la propria fede (e ci si riferisce in questo caso soprattutto al cristianesimo dei primi secoli o a quello missionario) o di non violarne i principî e i doveri morali: soffrire, patire, affrontare il m.; il m. di san Lorenzo, di Maria Goretti (anche come soggetto e titolo di una rappresentazione artistica: il M. di san Sebastiano del Mantegna); la corona del m., la gloria acquistata con il sacrificio della vita; m. spirituale, il perfetto e quotidiano esercizio delle virtù cristiane. Anche con riferimento a credenti di altre religioni: i musulmani cercano la morte in battaglia come un martirio. Più genericam., la morte, o la pena, o i tormenti affrontati per non venir meno alle proprie convinzioni etiche o politiche, o comunque in nome di nobili ideali civili: il m. di Cesare Battisti. 2. estens. Sofferenza, patimento grave, e spec. i tormenti a cui sono condannate le anime dell’inferno o del purgatorio: Francesca, i tuoi martìri A lagrimar mi fanno tristo e pio (Dante); o con riferimento alle pene d’amore: quel giorno Che fu principio a sì lunghi martìri (Petrarca). Nell’uso com. ha spesso valore iperb. o scherz.: vado a sentire la conferenza: sarà un’ora di martirio ma non posso mancare; queste lezioni pomeridiane sono un m., un vero m.; anche di dolore fisico: che martirio, queste scarpe strette! 3. Nella forma gr. μαρτύριον e lat. martyrium, la parola indicò: a. Presso gli scrittori greci e latini dei primi secoli cristiani, una chiesa sorta sopra la tomba di un martire, e la tomba stessa. b. Nell’archeologia cristiana, tipo di edificio sempre a pianta centrale, più o meno elaborata, distinto dalla basilica, sia per destinazione sia per forma.

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