Padróne

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padrone


padróne s. m. (f. -a) [lat. patrōnus «protettore, difensore», rifatto secondo i nomi in -one]. – 1. ant. a. Patrono (che è il sign. etimologico): I’ fui de la città che nel Batista Mutò ’l primo p. (Dante), di Firenze di cui fu prima patrono Marte, poi Giovanni Battista. b. Signore, con riferimento a Dio (per traduz. del lat. Dominus): voi siete santo, voi solo Padrone, voi solo Altissimo, o Gesù Cristo (Muratori). 2. a. Chi ha il possesso, la disponibilità di un bene (è sinon. quindi, ma non in tutti i sign., di proprietario): il p. del podere, di un’azienda, di un negozio; il p. di un giornale; Il p. delle ferriere, titolo con cui è stato tradotto in Italia il romanzo francese Le maître des forges di Georges Ohnet (1882, successivamente ridotto a dramma nel 1883); il p. (la p.) di casa, dell’appartamento in cui abita, o che ha dato in affitto; con altro senso, il p. (la p.) di casa, chi ha la responsabilità o la funzione di condurre la casa e regolare la vita della famiglia: ringraziare la p. di casa per l’ottima cena; salutare i p. di casa, accomiatarsi da loro; il p. di casa è lui e non accetta imposizioni; analogam., il p. di un’automobile, di un motoscafo; fig., p. del vapore, chi detiene il potere economico in una società, in un paese, riuscendo così a influenzare e poi a impadronirsi del potere politico (espressione diffusa dal titolo di un libro del pubblicista e uomo politico Ernesto Rossi, I p. del vapore, del 1954, ma nota già precedentemente). Per estens., chi possiede un animale, lo alleva e ne ha cura: il p. del cane, del cavallo, di una coppia di buoi; l’occhio del p. ingrassa il cavallo (prov.), ai proprî affari e interessi è meglio badare personalmente; il cane riconosce la voce del suo p. (la voce del p., espressione divenuta notissima come marchio di fabbrica discografica e fonografica, è talora riferita polemicamente a chi, spec. giornali e altri mezzi d’informazione, segue supinamente la volontà padronale o si fa portavoce delle disposizioni e delle idee del potere politico). b. Chi ha alle proprie dipendenze, a servizio presso di sé, lavoratori retribuiti (sinon. quindi di datore di lavoro, il cui uso viene limitato al linguaggio giur. e tecn.): p. di bottega, il principale; andare a p., non com., a servizio; cercare p., cercare lavoro; cambiare p.; essere a p., o sotto p., alle dipendenze di qualcuno; essere senza p., essere disoccupato; non avere p., essere libero; nessuno può servire due p., nota frase del Vangelo (Matteo 6, 24: nemo potest duobus dominis servire; e poco diversamente in Luca 16, 13: nemo servus potest ecc. «nessun servo può ecc.»), che viene ripetuta come ammonimento a essere onesti in modo intransigente e fuggire ogni comportamento ambiguo. Nel linguaggio politico e sindacale il termine è stato usato spesso in senso polemico: gli operai sono scesi in sciopero contro le pretese dei p.; i lavoratori si sono ribellati allo sfruttamento da parte del p.; sono finiti i tempi in cui il p. faceva quello che voleva; chi decide cosa insegnare? chi ha interesse a non dare certe informazioni? Il p., la borghesia (Dario Fo). c. Con questo, e con il precedente sign., è frequente (e in passato anche più) come appellativo e vocativo da parte di dipendenti: io non posso decidere, bisogna parlare col p.; senta, p., avrei bisogno d’un suo consiglio ...; e seguito dal nome, nella forma tronca padron, come appellativo di rispetto limitato ad alcune regioni (analogo all’uso più generalizzato di signore): padron ’Ntoni (Verga); padron Lazzaro (Bacchelli). È stato anche, in passato (oggi soltanto in frasi iron. o scherz.), titolo complimentoso: padron mio riverito; e nello stile epistolare: padron mio colendissimo. 3. In funzione di predicato o di agg.: a. Chi esercita un dominio, un potere politico su una zona, un territorio, una popolazione: i Romani erano ormai i p. di quasi tutto il mondo allora conosciuto; Venezia fu per secoli la p. dell’Adriatico. In senso fig., credersi p. del mondo, presumere molto di sé, darsi arie di grande importanza, pretendere di comandare a tutti; restare p. del campo, essere vincitore, aver eliminato avversarî o ostacoli; essere p. della situazione, in grado di dominarla e volgerla a proprio favore. b. Chi ha un’autorità assoluta, e impone o pretende di imporre la propria volontà ad altri, o può disporre di qualche cosa a sua volontà: essere, diventare, credersi il p. di tutto il quartiere; farla da p., spadroneggiare; il p. sono io e faccio, o decido, come mi pare; essere (o non essere) p. in casa propria, essere (o non essere) libero di fare quello che si vuole, poter (o non poter) disporre liberamente della propria vita privata; e con sign. più ampio: noi, 25 milioni d’Italiani, dobbiamo essere in casa nostra padroni (Mazzini), non soggetti cioè a potenza straniera; fare il p. in casa d’altri, pretendere di comandare e dirigere altri come se si fosse in casa propria; non avere, non volere padroni, non essere, o non voler essere, sottomesso a nessuno. In qualche uso fig., di cosa che domina, che assilla: era un’idea fissa, padrona ormai di tutti i miei pensieri. c. Essere p. di ..., avere facoltà e potere di agire, di decidere in modo autonomo e libero: ognuno di noi è p. di fare ciò che vuole (o come vuole); essere p. di sé, delle proprie azioni, dei proprî movimenti; sei p. di accettare oppure no; è p. di andarsene quando vuole; spesso con uso ellittico: vuoi andartene?, o vuole andarsene?, Padrone! (equivalente a: fa’ pure, faccia pure, non ti o non lo trattengo, e sim.); è frequente anche nel superlativo: padronissimo (padronissima) di andarsene quando crede. Altri usi fig.: essere (o non essere) p. di sé, dei proprî nervi, avere (o non avere) il controllo delle proprie azioni o reazioni: lui non si ubriacava mai, beveva più degli altri ed era sempre p. di sé (M. Moretti); con sign. diverso, per indicare piena conoscenza di una materia, di una disciplina, di un’arte: essere p. di una lingua, di una tecnica, del proprio mestiere; essere p. di uno strumento, saperlo suonare con perizia; essere p. di un meccanismo, di un congegno, conoscerne bene il funzionamento e i modi d’uso. 4. a. Nella marina mercantile, titolo professionale (p. marittimo), di grado inferiore a capitano di lungo corso, degli iscritti nella prima categoria della gente di mare che abbiano compiuto 21 anni di età, siano in possesso di titolo di studio di formazione professionale a carattere marinaro e che, dopo aver compiuto 4 o 3 anni di navigazione effettiva come ufficiali di coperta (rispettivam. con il titolo di p. marittimo per il traffico o di p. marittimo per la pesca) e superato appositi esami, sono autorizzati a comandare navi da carico e passeggeri o da pesca, entro certi limiti di tonnellaggio e con alcune limitazioni di navigazione in determinate aree geografiche. b. Nella nautica da diporto, colui che, in possesso di regolare abilitazione, ha il comando, ossia la responsabilità della condotta, di una imbarcazione della quale non è necessariamente il proprietario; spesso, con riferimento alle unità a vela, è più usato l’equivalente termine inglese skipper. c. Nella marina militare, qualifica del marinaio, della categoria nocchieri, che ha la responsabilità di una delle imbarcazioni di bordo, ne cura la pulizia e la manutenzione e ne ha il governo quando l’imbarcazione è in mare. 5. Nel gioco romanesco della passatella, uno dei due arbitri (l’altro è il sottopadrone o più brevemente il sotto) che dispongono le bevute. ◆ Dim. e vezz. padroncino (v.); pegg. padronàccio.

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