Particìpio

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participio


particìpio s. m. [dal lat. participium, traduz. del gr. μετοχικόν «partecipante»]. – Modo nominale del verbo, così chiamato dai grammatici greci perché partecipe, da un lato, della categoria dei nomi, di cui segue la flessione distinguendo numero, genere e caso, e, dall’altro della categoria dei verbi, in quanto può distinguere la diatesi, il tempo e l’aspetto e può inoltre averne la reggenza, transitiva e intransitiva; a differenza delle lingue classiche in cui il duplice valore, nominale e verbale, del participio è vivo e funzionante, in italiano (e nelle lingue moderne in genere) il valore verbale si è quasi completamente perduto, mentre prevale il valore nominale con l’uso in funzione di aggettivo e, spesso, di sostantivo (per es., un edificio pericolante, un amico fidato; il negoziante, gli sfrattati). In italiano, e in generale nelle lingue neolatine, il participio ha due tempi: p. presente (per es., amante, entrante), esclusivamente attivo, che raramente ha valore verbale (per es., l’ho trovato piangente) e, ancor più raramente, conserva la reggenza verbale (per lo più solo in espressioni letter. e burocr.: una cassa contenente libri; il medico dirigente il pronto soccorso); e p. passato, con valore attivo nei verbi intransitivi (per es., entrato) e passivo nei verbi transitivi (per es., amato), limitato come uso verbale a costruzioni assolute (per es.: dette queste parole, si allontanò; fatti i conti, ci rimetto), o alla formazione dei tempi composti (avere detto, essere amato). Nella lingua latina esisteva anche il p. futuro, sia attivo sia passivo (quest’ultimo detto anche gerundivo o p. di necessità), di cui rimangono in italiano solo pochi esempî, la maggior parte con funzione di aggettivo o sostantivo (per es.: futuro, duraturo, nascituro; l’erigendo palazzo, gli esaminandi, i laureandi).