Piazza

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piazza


s. f. [lat. platĕa «via larga, piazza» (dal gr. πλατεῖα, propriam. femm. di πλατύς «largo»); cfr. platea, che risale a una variante lat. platēa con e lunga]. – 1. a. Area libera, più o meno spaziosa, di forma quadrata, rettangolare, circolare, poligonale, che si apre in un tessuto urbano, al termine di una strada e più spesso all’incrocio di più vie, e che, limitata da costruzioni, spesso architettonicamente importanti, e abbellita talvolta da giardini, monumenti, fontane, ha la funzione urbanistica di facilitare il movimento ed eventualmente la sosta dei veicoli, di dare accesso a edifici pubblici, di servire da luogo di ritrovo e di riunione dei cittadini, costituendo non di rado il centro della vita economica e politica della città o del paese. Nella toponomastica, il nome della piazza può essere allusivo alla sua funzione, per es. p. del mercato (detta anche, in varie località, p. delle Erbe, che indicherebbe propriam., almeno in origine, il mercato all’aperto di frutta e verdura, o più brevemente piazza); in altri casi, fa riferimento a un palazzo pubblico, alla sede di un’autorità, a una chiesa, sia in modo generico (p. del Duomo, p. del Comune o del Municipio, p. del Tribunale, p. della Borsa, p. del Teatro), sia con denominazioni di più precisa identificazione: P. San Pietro e P. del Popolo (dalla chiesa di S. Maria del Popolo) a Roma, P. San Marco a Venezia, P. del Santo a Padova, P. della Signoria a Firenze, P. della Scala a Milano, ecc.; come le vie, così anche le piazze possono infine essere intitolate a un personaggio, a un’istituzione, a un avvenimento storico, a una nazione, ecc. (p. Mazzini, p. della Repubblica, p. del Plebiscito, p. delle Cinque giornate, p. di Spagna, ecc.). Talora, il nome di una piazza assume, spec. nel linguaggio giornalistico, valore metonimico: per es., P. del Gesù, a Roma, ha indicato la direzione nazionale della Democrazia Cristiana che in quella piazza aveva la sede; P. degli Affari, o P. Affari, è passata a indicare a Milano anche la Borsa, che vi ha sede, e l’insieme degli operatori economici e finanziarî che vi svolgono la loro attività. b. Locuzioni e usi fraseologici: vettura di o da piazza, espressione ormai in disuso per indicare le carrozze, o anche le autovetture, in servizio pubblico (e analogam. vetturino di o da p., il conducente); e considerando la piazza, soprattutto quella del mercato, come ritrovo di persone abitualmente chiassose e grossolane: non parlare così forte, non sei in p.; urlavano come se fossero in p.; modi, maniere, gesti, contegno da p., volgari, sguaiati. In senso tra proprio e fig., scendere in piazza (o nella p., sulla p., anche al plur.), inscenare pubbliche manifestazioni, dimostrazioni collettive (dette appunto manifestazioni, dimostrazioni di piazza); mettere in piazza, far conoscere a tutti, diffondere pubblicamente notizie che dovrebbero essere riservate: era un discorso confidenziale, non era il caso di metterlo in p.; sono faccende private, che non vanno messe (o portate) in p.; meno com., mettersi in p., esporsi in pubblico, farsi notare dalla gente, quando sarebbe più prudente il contrario: perché mettersi in p., e far gridare il suo nome, con quella cattura addosso? (Manzoni). c. Per metonimia, la gente adunata in una piazza: uno mulo, traendo calci in Mercato vecchio, fa fuggire tutta la p. (Sacchetti); più genericam., la gente che si assembra o può assembrarsi nelle piazze e nelle vie, o, spec. nel linguaggio giornalistico, il popolo, in quanto contrapposto ai governanti, a chi detiene il potere, o alle istituzioni: parlare alla p.; gli applausi, i clamori, le proteste della p.; si temono le reazioni della p.; eccitare, scatenare la p. con discorsi facinorosi; fare ricorso alla p., muovere l’opinione pubblica, cercarne l’appoggio; tastare il polso alla p., cercare di conoscere e d’interpretare gli umori e gli orientamenti dell’opinione pubblica. 2. Con riferimento alla piazza del mercato: a. Nel passato, dazio o gabella della p. (o anche semplicem. piazza), la tassa dovuta, in varie regioni d’Italia, per esporre la propria merce su strade e piazze pubbliche; corso o valuta di p., il prezzo corrente delle monete nelle contrattazioni di mercato; in alcune città emiliane erano detti giudici della p. gli ufficiali della grascia o delle vettovaglie; in Sicilia, era detto mastro di p. il funzionario incaricato di controllare l’applicazione dei calmieri; a Venezia, capi di p., i capi dei mercanti. Talvolta il termine servì a indicare l’insieme dei mercanti attivi in un luogo: la mercatura chiama piazza tutto il corpo de’ negozianti in una città, forse dal luogo dove e’ si ragunano (B. Davanzati). b. Nell’uso moderno, e nel linguaggio tradizionale delle consuetudini locali, è il luogo, genericam. inteso, in cui si svolgono operazioni economiche o finanziarie, o, con sign. ristretto, la circoscrizione amministrativa, per lo più un Comune, in cui si sviluppano determinati affari: la p. di Milano, di Napoli, di Macerata, di Pontremoli, le p. dell’Umbria, del Ferrarese, ecc.; seguire gli usi di piazza o della p.; merce acquistata, contrattata, consegnata su piazza, fuori piazza; al prezzo di piazza, a quello praticato in un dato mercato, in una zona d’affari; è una p. dove si vende, o si compra, bene; pop., battere una p., farsi una p., frequentare una località per vendere o comprare merci, per esercitare il commercio ambulante, per concludere affari di vario genere (o anche, con il sign. 3 e altri affini, per rappresentare spettacoli, per allestire un circo o un parco di divertimenti, e sim.). Con allusione ad affari di maggiore importanza: essere bene introdotto in una p., avere credito nelle p. di una regione. In usi fig.: il meglio che offre la p., o che si trovi sulla p., ciò che di meglio è possibile trovare (spesso con senso restrittivo, volendo significare che il livello o la qualità, non soltanto di cose ma anche di persone, non sono elevati; e così in frasi quali: bisogna contentarsi di quello che offre la p.; la p. non offre di meglio, o di più, e sim.); fam. e scherz., rovinare la p. a qualcuno, impedirgli di affermarsi, di avere successo in una certa situazione, rovinandogli la reputazione con critiche o calunnie, o frapponendogli altri ostacoli. c. Nel linguaggio di banca, località o zona in quanto sede di istituti di credito con i quali si compiono operazioni finanziarie: effetti, assegni su piazza, fuori piazza, pagabili rispettivam. nella località stessa dove ha sede la banca che li ha emessi o in località diversa. Con uso più tecnico: p. bancabile (v. bancabile); p. calcolata, il luogo dove si trova colui che subisce la scelta, fatta dall’altro contraente, della via più conveniente per eseguire un’operazione di cambio; p. calcolatrice, il luogo dove si trova colui cui spetta questa scelta; p. intermediaria (v. intermediario, n. 1 a). 3. Città, paese o anche borgata che, disponendo di un teatro o comunque di una sala di spettacolo, o luogo equivalente, danno la possibilità a una compagnia (soprattutto a una compagnia di giro) di rappresentare una serie di repliche (di fare, o farsi, cioè, una piazza); una compagnia di filodrammatici che si esibisce nelle p. di provincia; anche gli abitanti del luogo, considerati come possibili spettatori: una p. molto esigente; lavorarsi la p., allettare con la pubblicità la popolazione locale così da avere più spettatori e tenere più a lungo il cartellone. 4. Ampio spazio di terreno livellato, eventualmente attrezzato, con funzioni diverse; ha indicato talora, per es., l’arena di un anfiteatro, e p. dei tori è stata detta (per calco dello spagn. plaza de toros) l’arena per la tauromachia. Più in partic., nel linguaggio milit., p. d’armi (cfr. il fr. place d’armes), denominazione ant., ma conservata ancora oggi come toponimo in alcune città, di una spianata destinata alle esercitazioni militari, corrispondente a quella che in altri luoghi aveva il nome di campo marzio 0 campo di Marte; poteva anche essere uno spiazzo dentro la cinta muraria di una fortificazione o alle spalle di un’opera d’assedio, per lo schieramento delle truppe e la disposizione di pezzi d’artiglieria; con uso più tecnico, era così detta una delle opere addizionali, talora coperte, delle fortificazioni, in cui erano collocate alcune bocche da fuoco. In espressioni fig., e spesso iperb., essere o sembrare una p. d’armi, di luogo o ambiente molto spazioso, o di una superficie notevolmente estesa: un cortile, una palestra, un salone, una cucina, un letto matrimoniale che pareva una p. d’armi. Indica invece un luogo fortificato nelle locuz. p. forte (anticam. anche p. di guerra e, se collocata lungo i confini di uno stato, p. di confine, p. di frontiera) e p. marittima, per le quali v. piazzaforte. 5. Più genericam., spazio libero, sgombro: fare piazza, fare spazio, sgombrare il terreno: gli altri ... avevano intanto lavorato a fare e rifare un po’ di piazza (Manzoni); nell’uso com., fare p. pulita, sgombrare, levare del tutto, eliminare o far sparire rapidamente: il direttore andava dicendo che bisognava fare p. pulita di tutti gli assenteisti; era stata preparata una gran quantità di panini imbottiti e pizzette, ma i ragazzi hanno fatto p. pulita di ogni cosa. Viene talvolta detto piazza anche lo spazio privo di capelli che si forma sul capo di chi comincia a diventare calvo; e essere in p., andare in p. si dice scherz. di chi si trova in tale situazione. 6. Posto, con riferimento alle dimensioni di un letto: letto a una p., a una p. e mezzo, a due p.; e analogam. delle lenzuola e delle coperte. Con il sign. di «posto», anche, in competizioni sportive, nell’espressione piazze d’onore, per indicare la seconda, terza, ed eventualmente quarta, posizione in classifica (cfr. piazzarsi, piazzamento). 7. A Napoli, denominazione storica di ciascuno dei raggruppamenti popolari, chiamati anche seggi o sedili, istituiti da Carlo VIII di Francia alla fine del sec. 15° a fianco di quelli nei quali erano già organizzati i nobili per la difesa dei proprî interessi. ◆ Dim. piazzétta (piazza di piccole dimensioni, di solito appartata e tranquilla), piazzettina e, con accezioni partic., piazzòla (v.; anche piazzuòla); accr., non com., piazzóna, e piazzóne m.; pegg. piazzàccia.

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