Ridìcolo

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ridicolo


ridìcolo (ant. ridìculo) agg. e s. m. [dal lat. ridicŭlus, der. di ridēre «ridere»]. – 1. agg. a. Che fa ridere, degno di riso o di derisione, perché strano o goffo o insulso o scioccamente presuntuoso: il suo abbigliamento inconsueto lo rendeva r.; non pretenderete che creda a scuse tanto r.; crede di essere originale, e invece è soltanto r.; quando ti arrabbi per queste sciocchezze diventi r.; poiché non smetto di sentirmi r., abbandono il centro dello spazio e raggiungo gli altri lungo le pareti (Giulio Mozzi); cercava di rendermi r. davanti agli altri; ti rendi r. con la tua gelosia; fare una figura r.; mettere, trovarsi in una situazione r.; tutto questo è r., credimi. Le preziose ridicole, titolo (fr. Les précieuses ridicules) di una commedia di Molière. b. estens. Di scarsa entità o valore, insignificante, esiguo, meschino: mi è costato una somma r.; spesa r.; compenso, stipendio ridicolo. 2. Sostantivato con valore neutro, lato, aspetto ridicolo: il r. è che crede di aver ragione lui; non capisci il r. della situazione? Il fatto d’essere ridicolo, d’essere oggetto di possibile derisione: mettere, porre in r. una persona o una cosa, fare in modo che sia giudicata o sentita ridicola, che diventi oggetto di riso; volgere qualche cosa al r., toglierle serietà (anche parodiando, contraffacendo); cadere nel r.; gettare il r. su qualcuno o qualcosa; avere paura del r., temere di esporsi al riso della gente; non avere il senso del r., detto di chi (o a chi) mostra di non capire quanto possa essere ridicolo il suo comportamento. Con senso attivo, ciò che rende ridicolo: si servì del r. per controbattere le proposte dell’avversario, ricorrere all’arma del ridicolo. ◆ Accr. ridicolóne (f. -óna); pegg. ridicolàccio (tutti e due poco com., e solo come sostantivi). ◆ Avv. ridicolaménte e, più com., ridicolménte.