Sinesteṡìa

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sinestesia


sinesteṡìa s. f. [dalla voce prec.]. – 1. Nel linguaggio medico, termine abitualmente adoperato per designare il fenomeno psichico consistente nell’insorgenza di una sensazione (auditiva, visiva, ecc.) in concomitanza con una percezione di natura sensoriale diversa e, più in partic., nell’insorgenza di una immagine visiva in seguito a uno stimolo generalm. acustico (audizione colorata), ma anche tattile, dolorifico, termico; tale fenomeno può verificarsi sia in condizioni di normalità, spec. nei soggetti giovani, sia sotto l’influsso di particolari sostanze tossiche (per es., la mescalina). Con lo stesso termine si indica anche un disturbo neurologico, dovuto a lesioni cerebrali o delle strutture nervose periferiche, consistente nella percezione di una stimolazione in una zona lontana dal punto ove questa viene esercitata. 2. Nel linguaggio della stilistica e della semantica, particolare tipo di metafora per cui si uniscono in stretto rapporto due parole che si riferiscono a sfere sensoriali diverse (per es., silenzio verde nel sonetto «Il bove» di Carducci, colore squillante, voce calda); quando l’accostamento non è occasionale ma tende a ripetersi (per varie contingenze storico-culturali e stilistiche) può determinarsi un mutamento semantico, può nascere cioè una nuova accezione della parola (per es., il lat. clarus, etimologicamente appartenente alla sfera sensoriale auditiva, è passato alla sfera visiva, e tale è il suo valore fondamentale nel latino classico e nelle lingue romanze, nelle quali, a partire dal linguaggio musicale, ha nuovamente assunto una accezione acustica, come in suoni chiari, voce chiara).