Uscire

Vocabolario on line

uscire


(ant. escire) v. intr. [lat. exīre, comp. di ex «fuori» e ire «andare», raccostato a uscio] (nella coniugazione, si ha il tema usc- quando l’accento cade sulla desinenza, èsc- quando cade sul tema; quindi: indic. pres. èsco, èsci, èsce, usciamo, uscite, èscono; cong. pres. èsca ..., usciamo, usciate, èscano; imperat. èsci, uscite; regolari tutti gli altri tempi: uscivo, uscirò, uscìi, uscèndo, uscito, ecc.; aus. essere). – 1. Andare o venire fuori da un luogo o da un ambiente chiuso o che si considera circoscritto da confini determinati: u. di casa (anche fig., in passato detto di figlie che si sposano e vanno ad abitare col marito, e, nel linguaggio corrente, di figli che lasciano la casa dei genitori); u. di chiesa (o dalla chiesa); u. dall’ufficio, di fabbrica, dalla scuola, per lo più al termine dell’orario; il pubblico cominciava a u. dal teatro, dal cinema, dallo stadio, alla fine dello spettacolo o della manifestazione; i rapinatori sono stati arrestati mentre uscivano dalla banca; uscendo dal posteggio ho graffiato un parafango contro un pilastro; u. dalla città (o anche di città); la nave stava uscendo dal porto, dalla baia; Come le pecorelle escon del chiuso A una, a due, a tre (Dante); u. da uno stato, u. dall’Italia; u. da una stanza, dallo studio, dal bagno; u. (fuori) dall’auto; u. di scena, riferito ad attori (e in senso fig. a chi lascia una determinata carica o posizione ufficiale, o abbandona un’impresa, ecc.); esci di lì, ché mi dai noia!, a persona che ingombra uno spazio necessario per qualche nostra operazione; in senso pregnante: u. dal convento, sfratarsi, smonacarsi; u. dall’ospedale, dalla clinica, esserne dimesso; u. dal carcere, u. di prigione, esserne liberato dopo aver scontato la pena detentiva, o in seguito a particolari provvedimenti (amnistia, indulto, ecc.). Indicando il passaggio attraverso il quale si viene fuori da un luogo: u. dalla porta di servizio, da una casa passando per la porta di servizio; u. da una stanza attraverso la finestra. Assol., senza indicazione del luogo dal quale si esce (che è però sottinteso): uno esce e uno entra; chi entra e chi esce, per indicare un gran viavai di persone che vanno e vengono da un luogo chiuso; esco un momento e torno subito; non esco da due giorni, s’intende di casa; oggi ho avuto tanto lavoro che non sono potuto uscire. Nel gioco del calcio, riferito al portiere, u. di piede, di pugno, effettuare un’uscita dalla porta per parare e respingere il pallone col piede o col pugno (v. uscita, n. 1 a). Con l’indicazione del luogo nel quale si va o viene uscendo: u. in piazza, sulla strada; u. all’aperto; u. in giardino; Io solitario in questa Rimota parte alla campagna uscendo (Leopardi); nel linguaggio alpin., u. in vetta (o da una parete), portare a compimento una scalata o una sua fase; u. sul balcone, sulla terrazza; u. in campo, letter. u. a campo, di esercito che si schiera per la battaglia: usciti a campo Erano i Teucri (Caro); u. al mondo, poet., nascere: In un medesimo utero d’un seme Foste concetti, e usciste al mondo insieme (Ariosto); analogam., di sommergibile, u. a galla, u. alla superficie; di nave, u. in mare, o semplicem. u., lasciare il porto o un ancoraggio e dirigersi verso l’alto mare. Con verbo all’infinito preceduto dalla prep. a: E quindi uscimmo a riveder le stelle (Dante); soprattutto quando si vuole indicare lo scopo per il quale si esce: esco a far due passi, a prendere una boccata d’aria, a comprare il giornale, ecc. Talora con l’avv. fuori, in funzione rafforzativa: uscii fuori a prendere una boccata d’aria; esci fuori se hai coraggio! Anticam., con la particella pron.: la cui [del pontefice] reverenzia potette tanto in Attila, che si uscì di Italia e ritirossi in Austria, dove si morì (Machiavelli). 2. a. estens. Distaccarsi da un gruppo di persone: u. dalla fila, dalle righe, dal gruppo, dalla calca; analogam., uscire di formazione o di linea, di nave che, navigando di conserva con altre, abbandona il suo posto. Con allusione diretta o indiretta al luogo dove il gruppo di persone si trova, o anche allo scopo per cui una o più persone si trovano in un luogo: u. da una seduta; u. da una lezione universitaria, da una conferenza; u. dal lavoro. b. fig. Distaccarsi da una particolare condizione (fisica, psicologica, morale, sociale, ecc.), cessare di essere in quella condizione: u. da una malattia; u. dalla tossicodipendenza, o dal tunnel della droga, e talora anche, con uso assol. e allusivo, uscirne (è uno dei pochi che ce l’ha fatta a uscirne); u. dall’infanzia, dalla minore età; u. di pena; u. di sospetto, di timore; u. dall’incertezza, dall’indecisione; u. dal riserbo, dalla neutralità; u. da una situazione di pericolo; in partic., u. di sé, u. di senno, di ragione, di testa, infuriarsi, impazzire; u. dai gangheri, fig., arrabbiarsi violentemente, infuriarsi; u. di sentimento, perdere i sensi, o il controllo di sé (v. sentimento, n 1 b); in relazione a condizioni dell’ambiente esterno: stiamo per u. dall’inverno ed entrare nella primavera. Nel linguaggio polit., cessare volontariamente di far parte di una formazione, di un organo, ecc.: u. da un partito, da un sindacato; u. dal governo, dalla maggioranza, di uno o più membri o partiti; con riferimento a particolari condizioni giuridiche, amministrative o burocratiche: u. di minorità, di tutela; u. di carica. c. fig. Trarsi fuori, liberarsi da una situazione difficile, rischiosa, imbrogliata o comunque gravosa: è uscito illeso, o sano e salvo, da quell’incidente; non riesco a u. da questo guaio, questo imbroglio; con la particella pron. ne, che allude alla situazione, uscirne bene, e più raram. uscirne a bene: questa è la vera maniera d’uscirne a bene (Manzoni); al contr., uscirne male, avere esito cattivo, sfavorevole; ne sono uscito a stento, a fatica; te ne sei uscito con poco (dove equivale a cavarsela); siamo disposti a cedere, ma vorremmo uscirne con onore; uscirne per il rotto della cuffia (modo prov.), a stento, a malapena; per estens., ponendo un dilemma: di qui non s’esce: o accetti le loro condizioni o ti dimetti, volendo asserire che non esistono altre vie d’uscita. Con riferimento alle origini familiari o culturali di una persona, venire, provenire: esce da una famiglia di contadini, o da una nobile famiglia; esce da un ambiente molto severo e puritano. 3. Con riferimento, come soggetto, a cose concrete o astratte, venire fuori da un luogo chiuso, da un ambiente o da un recipiente, ecc.: il respiro gli usciva affannoso dal petto; rovesciò la borsa e ne uscirono cianfrusaglie di tutti i tipi; gli esce il sangue dal naso; il fumo esce dal camino; in usi fig., parole che escono dal cuore; questa [= la lupa] mi porse tanto di gravezza Con la paura ch’uscia di sua vista, Ch’io perdei la speranza de l’altezza (Dante); queste chiacchiere escono dai soliti ambienti pettegoli; quei manufatti sono usciti dalla nostra fabbrica; in partic., uscir di bocca, di cosa che non si avrebbe intenzione di dire e che viene detta inavvertitamente: gli è uscito di bocca che ha intenzione d’andarsene; anche assol., non avrei dovuto dirlo, ma ormai m’è uscito, cioè mi è uscito di bocca. Provenire come conseguenza, risultare: dal male esce talora il bene; dolci inganni Ond’escon poi sovente estremi danni (T. Tasso); di effetti casuali o secondarî di un’azione: si mise a scrivere un racconto e ne uscì un lungo romanzo; da quest’affare, se andrà bene, uscirà una bella somma anche per te; con sign. più partic., poter essere ricavato, fatto: da quello scampolo più di una camicetta non ci esce; ha una vigna, ma n’esce solo il vino per la famiglia; con questo misero stipendio, come fanno a uscirci le vacanze? In locuz. particolari: u. dalla vista o dalla visuale, non essere più visibile; u. di mano, sfuggire dalla mano, cadere (la bottiglia mi uscì di mano e si ruppe), o anche di opera già finita dall’artefice o dall’autore: quando m’esce di mano un lavoro, voglio che sia perfetto (per estens., di persona: Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre, Manzoni; ha una pettinatura perfetta, è appena uscita dalle mani del parrucchiere); u. di mente (o di testa, o dalla memoria), di cosa che viene dimenticata: m’era uscito di mente che avevo un appuntamento; u. dalla testa (o dal capo), dimenticare, non pensarci più: ti farò u. dalla testa queste idee balzane (o, in senso fig., questi grilli); u. di moda, non essere più di moda: è un bel po’ che questo taglio di capelli è uscito di moda. 4. Con usi e sign. estens. varî, riferito come soggetto sia a persone sia a cose: a. Andare fuori, al di là di un determinato limite o tracciato: u. di strada, riferito a veicoli stradali (l’auto, la moto, ecc., è uscita di strada ed è andata a finire nel canale); u. di carreggiata, ormai solo in senso fig., uscire dai limiti, andare oltre la misura, o anche perdere il ritmo nel lavoro, in un’attività; u. dal seminato, allontanarsi dall’argomento che si voleva o doveva trattare. b. Venire fuori, sia nel sign. di sporgere, emergere: un pollo così grosso che usciva dalla pentola; gli usciva un lembo del fazzoletto dalla tasca; sia in quello di venire estratto (nel gioco del lotto, della tombola o anche della roulette, oppure in un sorteggio qualsiasi): è uscito il 56; è tanto che non esce il 17; ha puntato tutto sul 15 ma non è uscito; il mio nome è uscito per primo: tocca a me; sia in quello fig. di saltare fuori, apparire all’improvviso o inaspettatamente, o anche di intervenire a parlare, pronunciare una parola o una frase in modo imprevisto e, talvolta, inopportuno: e tu di dove sei uscito?; di dove è uscito fuori questo tipo buffo?; li avevo già convinti quando uscì fuori un tale a contraddirmi con argomentazioni idiote; esasperato, uscì in improperî nei loro riguardi; uscì in una esclamazione, in un grido di stupore; se ne uscì con una strana frase, con una battuta comica. c. Venire pubblicato: è uscito un nuovo romanzo di quello scrittore; oggi il giornale non esce, c’è stato sciopero; una rivista che esce settimanalmente, tutti i sabati, ogni trimestre; il decreto legge uscirà domani sulla «Gazzetta Ufficiale». d. Con riferimento a strade, corsi d’acqua, ecc., sboccare, sfociare: via del Corso esce in piazza Venezia; un vicolo buio che esce sul porto; l’Arno esce presso Pisa nel Tirreno. e. Di parole, terminare, finire: parola che esce in vocale, in consonante, in «l», in «r», ecc.; in italiano le parole escono in vocale o in consonante liquida o nasale. f. non com. Risultare, riuscire (come verbo copulativo): u. vincitore; u. primo, secondo, in una gara, in un concorso; com., ma di uso region., u. pazzo, impazzire (esco, o me n’esco pazza se va avanti così!). 5. In usi region., come trans. con valore causativo, far uscire, portare fuori: il bambino non deve avercela con me perché l’ho uscito con quest’acqua (Fenoglio); far venire fuori, tirar fuori: un avvocato ... aveva uscito di tasca un giornale (Calvino). ◆ Part. pres. uscènte, usato con valore verbale soprattutto in determinate espressioni: presidente uscente, consiglio uscente, che sta per uscire di carica e per trasmettere le sue funzioni al successore o ai successori; l’anno, il mese uscente, che sta per finire; parola, tema uscente in vocale, in consonante. In araldica, uscente è attributo di animali che sembrano uscire da una partizione o da una pezza onorevole. ◆ Part. pass. uscito, sempre con valore verbale, anche se usato senza l’ausiliare: i ragazzi usciti da questa scuola, da questo collegio; il lavoro uscito dalla nostra bottega; quei che con lena affannata Uscito fuor del pelago a la riva, Si volge a l’acqua perigliosa e guata (Dante); uomo uscito di famiglia nobile; un, di troiana stirpe uscito, Venuto era in Cartàgo (Caro); in modi di dire usuali, stabilendo una rassomiglianza: sembra proprio uscito dalla cappa del camino, di persona sporca e tinta di nero; ecc. Ant. come sost., l’uscito, gli usciti, il fuoriuscito, i fuorusciti.